Pierluigi Terenzi

Maestranze e organizzazione del lavoro
negli Anni della Cupola*

Indice

1. Introduzione

Il 30 agosto 1436, fra «trombetti e piferi» che suonavano, si festeggiò la chiusura della cupola di Santa Maria del Fiore, la grande opera che l’ingegno di Filippo Brunelleschi aveva regalato a Firenze. Per l’occasione furono offerti «pane e vino e charne e frutte e chacio e macheroni e altre chose [...] a’ maestri e ministri de l’Opera e a’ chalonaci e preti».1 Dopo sedici anni di lavoro, la cattedrale fiorentina aveva finalmente la sua cupola maggiore, pur mancando ancora la lanterna. L’impresa aveva richiesto un grande sforzo progettuale, prima negli anni 1417-1420 con i disegni, i modelli, gli studi e i concorsi, poi nel 1426 con il programma che previde l’uso dei mattoni a spinapesce e a corda blanda per continuare la costruzione «sanza armadura».2 La cupola, come la cattedrale, era anche il frutto di uno sforzo complessivo che coinvolse tutta la cittadinanza (e non solo), materialmente e idealmente.3 Ma le protagoniste della concretizzazione del genio brunelleschiano e delle aspettative dei fiorentini furono le maestranze dell’Opera di Santa Maria del Fiore, alle quali è dedicato questo saggio.

La ricerca storica sul lavoro edile trova nei cantieri pubblici, e specialmente nei grandi edifici religiosi, le maggiori opportunità di sviluppo, anche grazie a una disponibilità documentaria più consistente.4 L’Opera di Santa Maria del Fiore, l’istituzione che dalla fine del Duecento curò la costruzione della cattedrale, conserva nel proprio archivio storico un rilevante patrimonio documentario che arriva fino al Novecento.5 Nonostante ciò, manca ad oggi uno studio sistematico sulla forza lavoro impiegata dalla fabbriceria nell’edificazione del duomo,6 a fronte di una solida storiografia su altri cantieri e sulla realtà edile fiorentina dell’epoca.7

Gli anni della Cupola, l’edizione online di tutti i documenti amministrativi degli anni 1417-1436 conservati dall’Opera, permette ora di affrontare più agevolmente questo tema per il periodo di costruzione della cupola, grazie agli strumenti informatici che mette a disposizione.8 Oltre alle trascrizioni, che completano e talora correggono le ancora fondamentali raccolte documentarie otto-novecentesche,9 il dettagliato apparato critico e la sua organizzazione in indici strutturati invitano a percorrere nuove strade di ricerca e a rivalutare quelle tradizionali.

Scopo di questo contributo è analizzare gli aspetti fondamentali dell’organizzazione del lavoro negli anni in cui fu eretta la cupola, con un approccio sistematico alle fonti e un costante riferimento agli studi dedicati ad altri cantieri e all’edilizia in generale.10 Il punto di partenza sarà il discorso sulla natura e sull’uso delle fonti, che necessitano di esplicitazione perché differenti dalla tipologia documentaria più usata nello studio della forza lavoro, cioè i registri contabili con dati sul pagamento dei lavoranti (§ 2). La riflessione sulle fonti accompagnerà anche la trattazione di sette nuclei tematici tipici della storia del lavoro edile: la gestione delle maestranze, la loro provenienza, le loro qualifiche, i salari, il numero di lavoranti e di giornate lavorate, la stabilità nel tempo dei rapporti di lavoro (§§ 3-8). Si affronteranno infine due argomenti particolari: le possibilità di carriera individuale e l’affidamento del trasporto di materiali ai maestri salariati (§§ 9-10). Quando possibile, i risultati dell’analisi di questi aspetti saranno rapportati alle fasi costruttive, in modo da agganciare le statistiche all’andamento temporale.11

2. Le fonti

Lo studio delle maestranze si basa di solito su fonti seriali di tipo contabile, come ad esempio i registri di entrate e uscite. Attraverso i pagamenti alle maestranze si possono conoscere alcuni dati fondamentali, come il numero dei lavoranti, la retribuzione periodica, la presenza in cantiere e talora le qualifiche. Queste informazioni, se presenti in modo continuativo per un certo periodo, permettono di elaborare statistiche su cui basare le interpretazioni.

Negli Anni della Cupola il tipo di fonte che permette di svolgere queste operazioni è diverso, ma non meno solido. Per ottenere dati coerenti e continui si possono utilizzare i ‘ruoli’, cioè le autorizzazioni stagionali al pagamento dei lavoranti trasmesse al tesoriere dell’Opera (il camarlingo), secondo le retribuzioni indicate per ciascun lavorante. Ogni ruolo contiene un elenco di nomi e relativi salari per un dato semestre, estivo o invernale.12

Questi elenchi offrono una fotografia della forza lavoro prevista per ogni semestre cui si riferiscono. Rispetto alle fonti utilizzate usualmente, i ruoli hanno il solo limite di non recare informazioni sulle presenze effettive dei lavoranti in cantiere. L’inclusione nell’elenco, infatti, non dà la certezza che un individuo lavorasse o che lo facesse ogni giorno del semestre, ma soltanto che era autorizzato a lavorare nel periodo di riferimento.

Le fonti disponibili ci permettono di conoscere l’impiego effettivo dei lavoranti solo per due periodi, posti alla fine degli anni qui considerati: dal luglio 1434 ai primi di gennaio 1435 e dal luglio al dicembre 1435. Queste informazioni si trovano nei due quaderni di cassa superstiti che, all’interno delle partite individuali dei lavoranti, recano poste per il pagamento delle giornate lavorate.13 I lassi cronologici di questi registri sono troppo ristretti per poter generalizzare i risultati della loro analisi, che riguarderebbero peraltro solo la fase della chiusura della cupola.14 Tuttavia, come vedremo, dal loro esame emergono comunque elementi interessanti, il primo dei quali è la sostanziale attendibilità dei ruoli. Da un confronto fra il quaderno di cassa del secondo semestre 1434 e i ruoli coevi emerge chiaramente la rispondenza fra forza lavoro prevista e forza lavoro effettivamente impiegata, almeno nel numero di lavoranti.15

Assumere i ruoli come base vuol dire però attuare comunque una selezione rispetto alla forza lavoro, perché fra un ruolo e l’altro potevano essere ingaggiati o rimossi diversi lavoranti, individualmente o in gruppo.16 Di conseguenza le statistiche basate sui ruoli sono rappresentative delle previsioni della forza lavoro necessaria, e non di quella effettiva. Per conoscere quest’ultima in ogni momento degli anni 1417-1436 si sarebbero dovute considerare tutte le piccole e grandi modifiche, spesso caratterizzate dalla mancanza dei nomi dei lavoranti interessati, il che avrebbe ostacolato l’analisi. Per questi motivi si rinuncerà alla completezza vera e propria per dare spazio a una rappresentazione più coerente e meglio interpretabile, e comunque affidabile.

I ruoli presi in considerazione sono presentati nella tabella A dell’Appendice. Essi coprono 30 dei 33 semestri compresi fra l’estate 1420 e l’estate 1436.17 Il primo estremo cronologico è posteriore a quello dell’edizione (1417) perché si è scelto di mettere a fuoco il periodo di costruzione della cupola, che ebbe inizio nell’estate 1420. Il primo dei nostri ruoli fu redatto alla vigilia dell’avvio dei lavori, il che ci permette di valutare l’impatto della nuova fase costruttiva sull’organizzazione del lavoro.

Da questi elenchi risulta che i lavoranti ingaggiati per almeno un semestre furono 265, cifra che costituisce la base delle elaborazioni statistiche.18 Nella tabella B dell’Appendice si elencano i nomi, le qualifiche, i salari e la presenza nei ruoli dei 265. Questa cifra riguarda solo i salariati autorizzati a prestare la loro opera e non comprende gli amministratori, i lavoranti non salariati e quelli ingaggiati fra un ruolo e l’altro.

Le informazioni contenute nei ruoli sono tuttavia insufficienti per l’analisi che si vuole condurre. Le indicazioni sulle qualifiche e sulla provenienza dei lavoranti, ad esempio, sono molto rare. Di conseguenza si è adottato un approccio prosopografico, rintracciando tutti i documenti disponibili su ciascuno dei 265 lavoranti.19 Inoltre, per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e le politiche attuate dall’Opera, si sono considerati gli atti contenenti disposizioni di carattere generale, come le deliberazioni riguardanti il numero di lavoranti o la loro dislocazione. In questo studio si troveranno quindi due livelli nell’uso delle fonti: quello statistico, basato sui ruoli eventualmente integrati da altri documenti, e quello ‘discorsivo’, fondato su documenti generali e/o su casi esemplari.

Prima di entrare nel merito, sono necessarie alcune altre premesse. I lavoranti ingaggiati non erano necessariamente destinati alla cupola, né al cantiere della cattedrale. I lavori nel duomo potevano essere diversi, nello stesso periodo, ed è raro trovare informazioni sulle destinazioni dei lavoranti, nonostante la conoscenza delle fasi costruttive suggerisca qualche orientamento in merito. Inoltre l’Opera gestiva anche altri luoghi di lavoro, cui inviava i suoi salariati. La fabbriceria ebbe diverse commissioni da parte del comune di Firenze, come i lavori al carcere delle Stinche o al palazzo dei Signori, oppure lontano dalla città, a Malmantile, a Vicopisano, a Pisa e altrove. In questi anni l’Opera gestì anche la realizzazione dell’abituro papale in Santa Maria Novella.

Per quanto riguarda le attività fuori Firenze, un caso a parte è quello della cava di Trassinaia. A partire dal 1421 l’Opera vi inviò gruppi di lavoranti per l’estrazione e la lavorazione della pietra serena.20 Per 21 semestri conosciamo i nomi, i salari e talora le qualifiche di questi lavoranti, presentati in calce ai ruoli o in liste separate (si veda la tabella A in Appendice). Nel discorso si farà spesso riferimento a questa estensione extracittadina della forza lavoro, ma in stretta connessione con le necessità del cantiere e con le fasi costruttive.

3. L’organizzazione del lavoro e la gestione delle maestranze: aspetti basilari

Prima di analizzare la manodopera, è opportuno spendere qualche parola sull’organizzazione del lavoro. I lavoranti di cui ci occupiamo erano retribuiti ‘a opera’, cioè a giornata lavorata.21 Ciascuno di essi era in rapporto diretto e personale con l’Opera: non risultano infatti squadre di lavoranti sottoposte a un responsabile.22

Ogni individuo veniva autorizzato a lavorare per un certo periodo, con un determinato salario giornaliero, dall’organismo di governo della fabbriceria, gli Operai. Essi erano sei membri dell’Arte della Lana – di cui l’Opera era emanazione –, estratti a sorte tra i qualificati, e svolgevano l’incarico per 4 mesi, con una sovrapposizione temporale parziale fra quattro in carica e due nuovi estratti.23 Gli Operai deliberavano in autonomia su qualsiasi materia, ma in alcuni casi era necessaria anche l’approvazione dei Consoli dell’Arte della Lana, in particolare per modificare le deliberazioni prese in precedenza.24

Per quanto riguarda l’attività di cantiere, gli Operai determinavano le politiche generali del lavoro, in particolare le priorità costruttive e gli aspetti finanziari;25 decidevano sull’aumento o la riduzione del numero dei lavoranti ammessi; stabilivano i salari dei singoli e le relative variazioni, generali e individuali; autorizzavano i maestri a lavorare fuori dall’Opera; decidevano di inviarne alcuni negli altri cantieri e luoghi di lavoro che dovevano gestire; ma soprattutto erano loro a decidere formalmente le condotte, cioè le inclusioni di lavoranti nel gruppo degli autorizzati, anche se altri soggetti avevano un ruolo determinante in queste scelte. Approfondiamo questo punto, che ci permette di entrare nel vivo delle dinamiche decisionali riguardanti il cantiere.

Nelle condotte deliberate dagli Operai, solo a volte si specificano il periodo di inizio e/o fine della collaborazione e i salari, che di solito venivano rinviati al momento della stesura dei ruoli.26 In genere queste decisioni venivano prese collegialmente, oppure si stabiliva che ciascun Operaio potesse eleggere un numero uguale di maestri.27 Dal 1427 si fece strada una modalità un po’ diversa. Il 28 febbraio di quell’anno fu concesso a un Operaio di eleggere due scalpellatori e a un altro di eleggerne uno. Per sostenere la legittimità dell’operazione, si specificava «quod electio fienda […] intelligatur facta per totum eorum offitium» (O0202001.052c). Lo stesso giorno si deliberò che ciascun Operaio avrebbe potuto eleggere un maestro, sempre specificando che «quos eligerunt intelligantur per dictum offitium electi» (O0202001.053a). Questo tipo di delibera si trova altre volte, con diverse varianti, fino alla fine del 1433.28 Sebbene non lo si possa considerare il sistema prevalente di ingaggio, esso lascia intravvedere la complessità di rapporti fra i membri dell’istituzione e i lavoranti, che si auspica venga approfondita in futuro.

Nonostante questo rapporto diretto fra lavorante e Opera, fra i due soggetti agivano tre intermediari: il capomaestro, il provveditore dell’Opera e lo scrivano delle giornate.29 Il primo era il responsabile del cantiere, gestiva l’organizzazione del lavoro, decideva chi lavorava e dove e con quale mansione; il secondo si occupava di diversi aspetti amministrativi di carattere ‘pratico’, come la ricezione dei materiali in arrivo e alcuni aspetti dello svolgimento dei lavori; il terzo registrava le giornate lavorate.

Questo terzetto aveva una funzione decisiva soprattutto per i salari stabiliti nei ruoli dagli Operai. Il sistema prevedeva solitamente che i tre fornissero una lista ciascuno, contenente i nomi e i salari dei lavoranti, sulla quale gli Operai si sarebbero basati per stabilire le retribuzioni.30 L’importanza di questi tre andò anche oltre, poiché per alcuni semestri si affidarono loro le condotte dei manovali.31 Il potere di ingaggiare lavoranti, per quanto non accordato molto di frequente, costituisce comunque una delega importante, sebbene concessa nel campo più fluido dei manovali. Di questi ultimi, peraltro, i tre potettero spesso determinare anche i salari.32

All’interno del terzetto emerge inoltre la posizione preminente del capomaestro Battista di Antonio, che gestì i lavori per tutto il periodo che stiamo considerando, ufficialmente o di fatto.33 Il suo ruolo era di per sé centrale nella gestione ordinaria del cantiere, poiché egli decideva quanti lavoranti impiegare e dove, compresi i maestri da inviare a Trassinaia e altrove.34 Ma Battista ebbe a volte la facoltà di condurre e rimuovere personalmente anche dei maestri, non solo dei manovali. Nel 1421, ad esempio, gli fu concesso di poter allontanare quei maestri e manovali che avrebbe giudicato non necessari (O0201078.022vb), così come fu nel 1427 per i soli maestri (O0202001.062ve). Il capomaestro era dunque una figura fondamentale anche nei processi decisionali riguardanti la forza lavoro, e non solo nella sua organizzazione.35 Bisogna notare, per completezza, che in un caso anche il provveditore fu coinvolto in una condotta di maestri, ma comunque insieme a Battista (O0201080.008a).

4. La provenienza dei lavoranti

Cominciamo a guardare da vicino i 265 lavoranti elencati nei ruoli, a partire dalla loro provenienza.

Tabella 1. Le provenienze dei lavoranti presenti nei ruoli

Dati forniti in ordine decrescente per numero di lavoranti

Provenienza Lavoranti % sul totale   Provenienza Lavoranti % sul totale

Ignota

139

52,45%

 

Lucca

1

0,38%

Settignano

76 o 77*

28,68% o 29,05%

 

Prato

1

0,38%

Fiesole

15 o 16*

5,66% o 6,03%

 

Reggio

1

0,38%

Firenze

11 o 12

4,15% o 4,52%

 

Romena

1

0,38%

Rovezzano

4 o 5

1,51% o 1,88%

 

San Casciano

1

0,38%

Maiano

2

0,75%

 

San Giusto

1

0,38%

Vercelli

2

0,75%

 

San Martino a Mensola

1

0,38%

Antella

1

0,38%

 

Sant’Ambrogio

1

0,38%

Faenza

1

0,38%

 

Varlungo

1

0,38%

Gangalandi

1

0,38%

 

Vincigliata

1

0,38%

* Un lavorante è indicato talora come da Settignano, talora come da Fiesole
† Un lavorante è indicato talora come da Rovezzano, talora come da Firenze

Apri Tabella 1 in una nuova finestra

 

Anche se la provenienza di più della metà dei lavoranti ci è ignota, l’incidenza degli originari di Settignano è evidente (considerandone 76, oltre il 60% delle 126 provenienze note), seguiti a distanza dai fiesolani e dai fiorentini. La stragrande maggioranza dei lavoranti proveniva dal contado (108 su 126, 85,7%), cui si aggiungono gli 11-12 di Firenze città. Questa situazione è paragonabile, ad esempio, a quella di Siena nella prima metà del secolo XIV.36 D’altro canto Firenze e la Toscana, com’è noto, erano luoghi di ‘esportazione’ di maestranze (iper)qualificate, dunque non c’era bisogno di ricorrere a personale non locale senza necessità specifiche.37

I 5 forestieri non sembrano accomunati da una o più caratteristiche che potrebbero collegarsi alla provenienza. Si nota però che 3 di loro compaiono solo in un semestre (Meo di Antonio da Faenza, Giovanni di Bartolomeo da Reggio e Domenico di Antonio da Vercelli), mentre Antonio di Andrea da Lucca, maestro di murare, figura continuativamente dal 1418 al 1423, anche se in pochi documenti. L’unico caso che ha una qualche particolarità è quello del frate Antonio di Bartolino da Vercelli, maestro di legname impiegato fra il 1422 e il 1424, che si segnala per il lavoro svolto «in faciendo rotam seu carrucolam pro trahendo super cupola maiori cum hedifitio Filippi ser Brunelleschi», nel 1422 (O0201080.073e).38

5. Le qualifiche

Com’è stato rilevato per la Firenze di questo periodo e per altri luoghi e altri tempi, una conoscenza precisa della composizione della forza lavoro per mestieri è ostacolata dal problema terminologico.39 Nelle nostre fonti, un lavorante può essere qualificato in tre modi: per status (maestro o manovale), per mestiere (scalpellatore, muratore, etc., ma anche addetto alla calcina o ad altro, per i manovali), per mansione svolta in un dato momento (cavatore, lastraiolo, etc.).40

Se ci affidassimo solo ai ruoli, potremmo individuare pochi status, mestieri o mansioni. Negli elenchi, infatti, la stragrande maggioranza dei lavoranti non viene qualificata individualmente, ma ricade sotto il gruppo che viene dichiarato nell’introduzione al documento, con definizioni del tipo ‘maestri o scalpellatori’ o ‘maestri e manovali’ (come indicato nella tabella A dell’Appendice). A parte la condizione particolare del capomaestro, per il quale non si indica il mestiere ma la funzione direttiva, gli unici di cui si specifica in genere la professione sono i fabbri e i segatori di legname, qualche volta anche i maestri di legname. Per altri lavoranti possono comparire altre specificazioni per un singolo semestre che non riguardano la professione, come l’incarico di provveditore della cava di Trassinaia.

Per conoscere la qualifica dei 265 lavoranti si è attuato quindi uno spoglio sistematico di tutti gli altri documenti riguardanti ciascuno di essi. Il risultato è rappresentato nella tabella 2, che contiene dati sui lavoranti che figurano in almeno un ruolo. I valori del prospetto non sono medie né tengono conto delle variazioni nel tempo, ma riguardano il totale degli autorizzati in tutti i venti anni considerati, indipendentemente dal momento in cui furono ingaggiati e dalla durata del loro rapporto di lavoro. Sulla base dei dati di questo prospetto, possiamo avviare il discorso sulle qualifiche suddividendolo in due parti: maestri e non maestri (manovali e fanciulli).

Tabella 2. Composizione per qualifica dei lavoranti elencati nei ruoli

Dati raggruppati per lavoranti qualificati (maestri) e non qualificati (manovali e fanciulli), poi in ordine decrescente per qualifica specifica. I fanciulli che diventarono maestri sono stati computati come maestri
NC = media non calcolata, per la rarità di occorrenze o per le incertezze legate all’attribuzione della qualifica

Qualifica
(status)
Qualifica
(mestiere)
Numero di lavoranti % sul totale dei lavoranti Media di lavoranti arruolati per semestre

Maestri

Scalpellatore*

127

47,92%

41,2

Maestro (n.s.)

83

31,32%

5,6

Scalpellatore e muratore

14

5,28%

8

Legnaiolo

11

4,15%

0,7

Segatore di legname

10

3,77%

1,6

Fabbro

5

1,89%

1

Muratore

4

1,51%

0,4

Muratore e legnaiolo

2

0,75%

2

Scalpellatore e fabbro

2

0,75%

1,3

Bottaio

1

0,38%

NC

Manovali
(o fanciulli)

Manovale o fanciullo§

4

1,51%

NC

Manovale

2

0,75%

NC

 

Totale

265

100%

 

Totale maestri certi

259

97,74%

 

Totale maestri con qualifica specifica

176

66,41%

 

Totale manovali (o fanciulli)

6

1,51%

 

Maestri con qualifica specifica

 

% sul totale dei maestri qualificati (176)

Totale maestri mono-qualificati

158

61,00%

 

Totale maestri pluri-qualificati

18

6,95%

 

* Comprende anche le definizioni di maestro di concio, intagliatore di marmo o scultore, segatore di marmo
† Comprende i lavoranti senza qualifica specifica che abbiano un salario pari o superiore ai s. 10
‡ Comprende anche la definizione particolare di maestro di cazzuola
§ Comprende gli individui pagati meno di s. 10 di cui non è possibile sapere se fossero manovali o fanciulli

Apri Tabella 2 in una nuova finestra

 

5.1. I maestri

Per quanto riguarda i magistri, cioè i lavoranti qualificati iscritti a un’arte, la parte della tabella loro dedicata pone alcune questioni, che richiedono un preliminare chiarimento terminologico.41 Nel caso degli scalpellatori, dei muratori e dei legnaioli, nelle fonti troviamo delle varianti, rispettivamente ‘maestro di scalpello’, ‘maestro di murare’ e ‘maestro di legname’. Per ciascun mestiere, in uno stesso atto i due modi vengono usati talora come sinonimi (O0201078.008bisb), talora come espressioni distinte (O0201079.027c). Poiché i redattori dei documenti, nel qualificare buona parte dei maestri, usarono indifferentemente l’uno o l’altro modo, in questo contributo le due forme verranno usate come sinonimi.

Le questioni cui si è fatto cenno sono tre: la nettissima prevalenza numerica dei maestri sui manovali, l’esistenza di un gruppo di maestri pluri-qualificati e la maggiore consistenza degli scalpellatori rispetto ai muratori.42 Del primo aspetto ci si occuperà parlando della manodopera non qualificata, poiché il tratto peculiare è la scarsità di manovali e non il numero di magistri. Quanto alla seconda questione, nelle nostre fonti 18 maestri vengono indicati con più di una qualifica.43 Nella tabella 3 sono presentate le ‘pluri-qualifiche’, da cui sono stati esclusi quei maestri chiamati una tantum a svolgere mansioni diverse dalle solite.44

Tabella 3. La pluralità di qualifiche dei maestri presenti nei ruoli

Qualifica

Totale lavoranti

Scalpellatore e muratore

14

Scalpellatore e fabbro*

2

Muratore e legnaiolo

2

Totale

18

* Comprende uno scalpellatore-fabbro-pittore

Apri Tabella 3 in una nuova finestra

 

In termini assoluti i pluri-qualificati non sono molti, poiché rappresentano il 6,95% dei 259 maestri dei ruoli e poco più del 10% dei 176 di cui conosciamo la qualifica. Si tratta comunque di una percentuale non trascurabile, anche se non sembra che queste qualità siano state decisive per ottenere un lavoro all’Opera, né per mantenerlo. Quando si stabilirono le riduzioni del numero dei lavoranti, infatti, la pluri-qualifica non garantì a un maestro di permanere nelle liste dell’Opera, come vedremo nel paragrafo 7. Del resto, mancano attestazioni nelle fonti che suggeriscano un peso specifico della pluri-qualifica nella scelta dei maestri.

Passiamo ad analizzare i dati della tabella 3, avvalendoci delle informazioni che abbiamo sui singoli maestri. I pluri-qualificati meno numerosi sono gli scalpellatori-fabbri e i muratori-legnaioli, che hanno in comune l’esercizio di attività molto diverse fra loro. Di questi 4, solo per i 2 fabbri-scalpellatori può dirsi che abbiano svolto entrambi i mestieri per il tutto il periodo in cui sono documentati. Si tratta di Antonio di Berto da Settignano, che fu anche provveditore alla cava di Trassinaia e Giovanni o Nanni di Frosino Testa, che viene qualificato anche come pittore.45 Per i 2 legnaioli-muratori sembra di poter rilevare un’attività prevalente, poiché Nanni di Andrea da Prato compare più spesso come maestro di murare, mentre Nanni di Ellero come maestro di legname.46

La categoria degli scalpellatori-muratori è la più consistente e si compone di maestri in grado di svolgere le due principali attività richieste nella costruzione della cupola, cioè preparare e murare pietre, lastre e mattoni. Nella maggior parte dei casi le due qualifiche di un maestro risultano da documenti diversi, mentre 4 di loro sono pluri-qualificati nello stesso atto.47

Questo fenomeno va affrontato in connessione con la terza questione da trattare, quella del rapporto numerico fra scalpellatori e muratori. Se consideriamo anche coloro che svolgevano entrambi i mestieri, la prevalenza dei primi è netta: 143 contro 20 (circa 7:1). Inoltre i maestri di murare ‘puri’, cioè qualificati solo come muratori, sono appena 4 e sono accomunati da una scarsa presenza nei ruoli.48 Lo sbilanciamento a favore degli scalpellatori è peraltro un fenomeno permanente nel tempo, come si vede nella composizione per qualifica di ciascun semestre rappresentata nella tabella C dell’Appendice.

L’impiego di un numero maggiore di scalpellatori potrebbe spiegarsi con la necessità di eseguire una quantità rilevante di lavori non murari contemporaneamente alla posa in opera degli elementi costruttivi. Un esempio lampante è quello degli scalpellatori impiegati alla cava di Trassinaia, che dovevano estrarre e sbozzare le pietre. Tuttavia, l’apporto dei maestri della cava non incide in modo rilevante sul totale degli scalpellatori ingaggiati, che rimane alto anche nei periodi in cui non esistono ruoli per Trassinaia. D’altro canto, la prevalenza numerica degli scalpellatori non è di per sé un fatto eccezionale, visto che la si riscontra anche in altri cantieri. Nei primi anni di costruzione della cattedrale di Bologna, ad esempio, il rapporto fra scalpellatori e muratori era di circa 1,5:1 (57 contro 39).49 Ma, come si vede, c’è una differenza abissale nella consistenza del rapporto numerico, che costituisce la vera particolarità dell’Opera.

La questione va trattata ragionando sulle fonti e il sistema di riferimento adottato dai redattori nelle loro scritture. È impensabile che nella costruzione della cupola si siano impiegati solo 20 maestri di murare, di cui 4 esclusivamente muratori, e soprattutto che in media fossero impiegati ogni semestre solo 10 lavoranti capaci di murare.50 Si possono quindi formulare due ipotesi, che non si escludono a vicenda. La prima è che la maggior parte degli 83 maestri dalla qualifica sconosciuta fosse impiegata nella muratura e che i redattori degli atti omisero di indicare il mestiere, perché era in un certo senso ovvio che dovessero murare. L’altra ipotesi è che gli scalpellatori-muratori fossero più di 14 e che buona parte dei lavoranti qualificati solo come scalpellatori si dedicasse anche a lavori di muratura. I redattori avrebbero pertanto indicato solo il mestiere che probabilmente li identificava socialmente perché era quello in cui si erano formati.

Una riprova della prima ipotesi potrebbe essere l’introduzione al ruolo dell’estate 1420, in cui si dichiara che vi sono elencati «magistros, scalpellatores et alios infrascriptos» (tabella A). La distinzione incoerente fra una qualifica di status (maestri) e una di mestiere (scalpellatori) sarebbe invece logica se considerassimo questi «magistros» come muratori. Tuttavia, osservando la composizione per qualifica di questo ruolo (tabella 4), la prevalenza degli scalpellatori rimane significativa anche considerando muratori tutti i maestri non qualificati. Così è anche se sommiamo i pluri-qualificati (contandone uno in ciascuna categoria) e consideriamo i fanciulli che sarebbero diventati scalpellatori, anche se il rapporto si riduce considerevolmente, da 7:1 a 3:1 (65 contro 22).

Tabella 4. La composizione per qualifica dei ruoli estivi 1420, 1421 e 1426

Dati forniti in ordine decrescente per numero di lavoranti dell’estate 1420
Sotto la voce Maestro (n.s.) sono computati i maestri senza qualifica specifica
Per il 1421 e il 1426 non si sono considerati i maestri dislocati alla cava di Trassinaia, tranne il provveditore che lavorava anche all’Opera

Qualifica

Estate 1420

Estate 1421

Estate 1426

Numero di lavoranti

% sul totale dei lavoranti del ruolo

Numero di lavoranti

% sul totale dei lavoranti del ruolo

Numero di lavoranti

% sul totale dei lavoranti del ruolo

Scalpellatore

54

62,07%

28

65,12%

28

63,64%

Maestro (n.s.)

12

13,79%

2

4,65%

0

0,00%

Muratore e scalpellatore

8

9,20%

6

13,95%

8

18,18%

Manovale o fanciullo

5

5,75%

2

4,65%

0

0,00%

Scalpellatore e fabbro

2

2,30%

1

2,33%

1

2,27%

Muratore e legnaiolo

2

2,30%

2

4,65%

2

4,55%

Manovale

2

2,30%

0

0,00%

0

0,00%

Legnaiolo

1

1,15%

0

0,00%

1

2,27%

Fabbro

1

1,15%

1

2,33%

1

2,27%

Muratore

0

0,00%

1

2,33%

1

2,27%

Segatore

0

0,00%

0

0,00%

2

4,55%

Totali

87

100%

43

100%

44

100%


Apri Tabella 4 in una nuova finestra

 

Si potrebbe obiettare che questo rapporto non è rappresentativo della forza lavoro impiegata nella costruzione della cupola, sia perché fu redatto prima dell’avvio dei lavori, sia perché in quel periodo ci si impegnò intensamente per la conclusione della terza tribunetta. Anche se non abbiamo informazioni sulla dislocazione dei lavoranti in cantiere, è plausibile che i lavori alla tribunetta sbilancino la composizione per qualifica a vantaggio degli scalpellatori. Operiamo allora un confronto fra questo ruolo e il primo disponibile per il periodo della cupola, quello dell’estate 1421, che è ben comparabile anche perché riguarda la stessa stagione. Ma dalla tabella 4 emerge che, anche a lavori della cupola iniziati, il rapporto rimane sui 3:1 (35 contro 11).

Si potrebbe obiettare ancora che fino al 1422 buona parte del lavoro consisteva nel taglio delle pietre per il primo settore e che la fase di maggiore coinvolgimento dei muratori fu quella caratterizzata dalla posa dei mattoni a spinapesce, a partire dal 1426. Ma nel ruolo estivo di quell’anno il rapporto fra scalpellatori e muratori arriva solo ai 3,5:1 (38 contro 11).

C’è da notare inoltre che nell’estate 1420 mancarono del tutto i muratori ‘puri’, mentre nel 1421 e nel 1426 se ne trova solo uno. I maestri non qualificati, invece, si riducono da 12 a 0 negli stessi anni e dunque non possono considerarsi decisivi per l’esecuzione di lavori in muratura. Tutto ciò depone a favore dell’ipotesi di un impiego variabile di buona parte dei lavoranti qualificati solo come scalpellatori, e del connesso sistema di riferimento usato dai redattori degli atti.

Un’ulteriore conferma di una pluralità di qualifiche più diffusa di quanto i numeri non dicano, viene da un atto del 1423. Il 18 gennaio si deliberò la riduzione dei lavoranti dell’Opera a 34 unità (O0201082.002c), nel periodo in cui si doveva innalzare il settore della cupola poggiante sul primo camminamento. Nel decidere la riduzione, gli Operai stabilirono anche la composizione per qualifica del gruppo, che si può vedere nella tabella 5. In mancanza di un atto che contenga i nomi dei prescelti, possiamo fare un confronto con il ruolo estivo del 23 aprile 1423, che elenca giusto 34 maestri se operiamo alcune esclusioni legittime.51

Tabella 5. La composizione per qualifica dell’atto di riduzione della forza lavoro e del ruolo estivo del 1423

Dati forniti in ordine decrescente per numero di lavoranti dell’atto di riduzione

Qualifica

Numero indicato nell’atto di riduzione del 18 gennaio 1423

Numero reale nel ruolo estivo
del 23 aprile 1423

Scalpellatore

8

18

Scalpellatore e muratore

-

8

Legnaiolo e muratore

-

2

Muratore*

22

1

Legnaiolo

2

1

Fabbro

2

1

Fabbro e scalpellatore

-

1

Ignota

-

2

Totali

34

34

* Nell’atto di riduzione è indicato come maestro di cazzuola

Apri Tabella 5 in una nuova finestra

 

Considerando la pluralità di qualifiche di alcuni maestri, i fabbri e i legnaioli del ruolo possono corrispondere al dettato del provvedimento di riduzione. Non è così per gli scalpellatori e i muratori: il loro rapporto numerico, che nella riduzione era di circa 1:3, cioè il contrario di ciò che abbiamo visto sinora, nel ruolo estivo si attesta sui 2,5:1. Tenendo presente la fase costruttiva, un’inversione di marcia nell’organizzazione delle maestranze è improbabile, peraltro nel giro di soli tre mesi. Sembra invece più plausibile – appunto – che gli scalpellatori-muratori fossero più di quelli che le fonti ci permettono di individuare. Essi costituiscono così un altro tratto caratterizzante della forza lavoro dell’Opera, anche se non siamo in grado quantificarli.

5.2. Manovali e fanciulli

Un altro aspetto particolare della forza lavoro negli Anni della Cupola, come si diceva, è il numero molto limitato di manovali. Prima di occuparcene, è necessario affrontare il problema della distinzione fra i manovali e i fanciulli. Nonostante la diversità fra queste due categorie – i secondi erano all’inizio di una carriera –, esse vanno qui trattate insieme perché in diversi casi non è possibile distinguere gli uni dagli altri. Mancando l’indicazione della qualifica, nei ruoli essi si confondono perché hanno in comune un salario basso, anche se quello dei fanciulli alle prime armi si colloca generalmente al di sotto del livello di sussistenza, diversamente da quello dei manovali e dei giovani di età più avanzata.52

L’unico modo per distinguerli con certezza è seguire le carriere dei singoli. Quelle dei giovani si caratterizzano per la crescita del salario nel tempo e, quasi sempre, per l’attribuzione della qualifica di magister da un certo momento in poi.53 Così è per 22 lavoranti pagati poco fra la fine degli anni dieci e i primi anni venti.54 Questi giovani, sebbene venissero pagati direttamente dall’Opera e non per il tramite del maestro, svolgevano la loro attività al fianco di un esperto, che molto probabilmente era il padre. Come accadeva di solito nel mondo del lavoro, infatti, molti dei fanciulli che conosciamo erano figli di maestri già in forza all’Opera.55 Essendo pagati direttamente da questa istituzione e non dal maestro dal quale imparavano, questi giovani non possono essere considerati apprendisti in senso stretto.56

Venendo ai manovali, l’analisi di questa categoria pone diversi problemi, soprattutto per mancanza di informazioni.57 Cominciamo col chiarire che anch’essi venivano ingaggiati direttamente dall’Opera, e non lavoravano come dipendenti dei maestri. Lo dimostrano le condotte individuali e di gruppo che costituiscono uno dei tipi documentari più diffusi sui manovali, comprese le deleghe al capomaestro per l’ingaggio o la rimozione. Ciò non esclude che i maestri potessero quantomeno suggerire dei nomi, ma tramite Battista d’Antonio l’Opera controllava pienamente l’accesso dei manovali al lavoro. Un esempio lampante risale al 1420, quando il manovale Benedetto d’Agnolo, portato dal maestro Cambio di Russo, fu «schommiatato» dal capomaestro (O0204008.089vd).

Nonostante questo sistema di controllo, non possiamo avere un quadro chiaro dei manovali ingaggiati dall’Opera, perché sfuggono in genere ai ruoli. In un solo caso sono elencati esplicitamente, la lista dell’inverno 1430-1431 che ne reca due in calce.58 Per il resto, solo nei tre ruoli compresi tra l’estate 1421 e l’estate 1422 si dichiara che l’elenco comprende anche i manovali.59 Invece nel ruolo estivo del 1420, deliberato prima dell’avvio della costruzione della cupola, si fa riferimento a maestri, scalpellatori e generici «alios», che potrebbero essere manovali e fanciulli, a giudicare dai salari di alcuni.60 In altri ruoli, inoltre, possono essere presenti manovali senza che l’atto lo dichiari, come nel caso di quello estivo del 1432.61 Stando all’introduzione dell’atto, esso dovrebbe contenere solo maestri, ma tra di loro troviamo anche Bartolo di Buto, qualificato come manovale in un atto di poco precedente (O0202001.157vi).

Come si vede, la questione è complessa e va affrontata con cautela. Il problema principale è che nella gran parte dei casi i manovali sono citati in piccoli gruppi, nei provvedimenti di ingaggio, rimozione o altro, in cui si indica il loro numero e non i loro nomi.62 Ciò riflette la fluidità tipica del lavoro non qualificato, cui corrisponde sul piano documentario la mancanza di riconoscibilità individuale favorita dalle deleghe al capomaestro. Così, è di fatto impossibile calcolare il numero di manovali impiegati dall’Opera, né sapere quanti di loro furono chiamati più volte. Possiamo però cercare di ragionare sui dati che emergono dalle informazioni disponibili.

Se si effettua una ricerca per qualifica negli indici de Gli anni della Cupola, i lavoranti qualificati almeno una volta come manovali sono 125, compresi coloro che hanno anche altre qualifiche. Questi 125 non corrispondono al totale effettivo di manovali impiegati negli anni 1417-1436, ma solo a quelli di cui si fa il nome. Di essi, solo 15 compaiono nei ruoli, di cui 5 qualificati sempre come manovali, individualmente o in piccoli gruppi, e 10 qualificati talora come manovali, talora in altri modi.63 Inoltre nella tabella C in Appendice è facilmente rilevabile la loro scarsa presenza nel tempo, sempre nei soli ruoli.

Anche se è impossibile stabilire una cifra esatta di manovali impiegati, gli elementi a disposizione indicano chiaramente che il loro numero era di gran lunga inferiore a quello di altri cantieri, dove i numeri sono ricostruibili grazie a una più ampia disponibilità di fonti contabili riguardanti i pagamenti. Ma se esaminiamo i quaderni di cassa del 1434 e del 1435, possiamo almeno conoscere il numero di manovali per questi due anni finali della costruzione della cupola (lanterna esclusa). Il risultato, come si vede dalla tabella 6, conferma la tendenza riscontrata nei ruoli. La media di 11,95% non può essere estesa arbitrariamente a tutto il periodo 1417-1436, ma essa indica comunque una chiara tendenza al contenimento del numero di manovali e una netta prevalenza dei maestri nella composizione della forza-lavoro. Il rapporto manovali-maestri di 2:1 proposto qualche anno fa appare decisamente improbabile, com’è stato già osservato.64 Ma nemmeno quello leggermente minore di 1:1, riscontrabile a San Petronio a Bologna nei primi anni novanta del Trecento e a Palazzo Strozzi a fine Quattrocento, sembra rappresentare la realtà del cantiere fiorentino.65

Tabella 6. La presenza di manovali nei pagamenti dei quaderni di cassa

Le percentuali si riferiscono al totale di lavoranti
Nel Totale lavoranti del 1434 e di luglio e agosto 1435 è incluso un fanciullo

 

1434

1435

 

lug-set

ott-dic

lug

ago

set

ott

nov

dic

Totale lavoranti

83

78

74

76

73

73

70

77

Manovali certi (esplicitati nell’atto o in altri documenti)

13 (15,66%)

11 (14,10%)

8

(10,81%)

8

(10,52 %)

9

(12,32%)

7

(9,58%)

6

(8,57%)

8

(10,38%)

Manovali probabili (salario sotto i s. 10)

2

(2,41%)

1

(1,28%)

-

-

-

-

-

-

Totali

15 (18,07%)

12 (15,38%)

8

(10,81%)

8

(10,52 %)

9

(12,32%)

7

(9,58%)

6

(8,57%)

8

(10,38%)

Media (1434 e 1435): 11,95%

 

 

 

 

 

 

 


Apri Tabella 6 in una nuova finestra

 

Non rimane da dire, in termini generali, che l’apporto dei manovali alla realizzazione della cupola sembra molto limitato. Se si escludono quelli specializzati, di cui si dirà fra poco, rimangono pochi spazi per i manovali generici. Si può ipotizzare che in questo abbia avuto un ruolo l’introduzione delle innovazioni tecniche di Brunelleschi che favorirono lo svolgimento delle attività preliminari alla posa in opera, come ad esempio l’argano a tre velocità costruito fra il 1420 e il 1421.66 Ciò potrebbe aver provocato una sensibile riduzione dell’impiego di manovali generici, ma solo una verifica puntuale sui decenni precedenti e successivi il nostro periodo potrà farci capire se questa era un particolarità legata alla fase costruttiva della cupola, oppure se era una politica normalmente adottata dall’Opera. Per ora possiamo dire che nell’estate 1398 i maestri erano 64 e i manovali 52 (più 8 fanciulli), mentre a ridosso del nostro periodo, nell’estate 1416, il ruolo si componeva di 81 maestri, 31 manovali e 4 pueri.67 Negli anni settanta, invece, fu impiegato 1 manovale ogni 7 maestri.68

Tornando al ruolo del 1416, esso apre uno scorcio anche sull’impiego dei manovali negli anni precedenti l’avvio della costruzione della cupola. Intanto essi figurano chiaramente divisi dai maestri, sotto la dicitura «manovales». Poi, i nomi dei primi 8 sono seguiti dall’indicazione del luogo di lavoro, tutti legati al sollevamento dei pesi: i primi 2 «alla ruota», per coordinare l’uso di questa macchina, altri 7 «nella ruota», per azionarla, infine 1 «alla colla alto», un argano presumibilmente posto sulla terza tribunetta. A questi manovali si attribuì un salario di ben s. 12, superiore a quello di alcuni maestri, che riconosceva la loro specializzazione. Fenomeni simili si riscontrano anche negli Anni della Cupola, dove la situazione dei manovali specializzati è un po’ più chiara rispetto a quelli generici.

Anche negli anni 1417-1436 c’erano lavoranti non-maestri che si dedicavano a compiti specifici, come la preparazione della calce e l’innaffiatura delle mura della cupola d’estate. Questi manovali ebbero modo di lavorare più a lungo di altri e ricevettero salari spesso pari o superiori a quelli di alcuni maestri. Prendiamo ad esempio Martino di Nanni della Calcina che, come si evince dal nome, si specializzò nella preparazione della calce. Egli fu condotto per la prima volta nel 1426 per Trassinaia (O0202001.026f) e risulta ingaggiato fino al 1427, per poi riprendere a lavorare nel 1431, continuativamente fino al 1435. La prima menzione come curatore della calce risale al 1432 (O0204013.040vg), quindi non sappiamo se nel 1431 sia stato ingaggiato già con questa mansione o se gli sia stata affidata nel corso dell’anno successivo.

Il caso di Martino e di altri manovali specializzati fa emergere una questione interessante che riguarda il rapporto fra lo status di manovale e quello di maestro e chiama in causa nuovamente il sistema di riferimento adottato nelle fonti. In primo luogo si può osservare che la specializzazione di alcuni manovali poteva far sì che fossero considerati maestri. In un documento del 1435, dopo anni di esercizio della stessa funzione, Martino della Calcina viene chiamato «maestro di chalcina» (O0801002.005vc). Piero di Cofaccia, uno dei manovali alla ruota del 1416, negli anni seguenti viene qualificato qualche volta come maestro dei ponti. In un atto del 1417 si legge che Piero, esplicitamente qualificato come manovale, doveva ricevere un salario di s. 12 «quia est magister pontium». La stessa cifra valeva anche se avesse lavorato «in rota», in continuità con la mansione del 1416 (O0201071.003g). La sua esperienza, evidentemente, era tale da procurargli un salario da maestro con entrambe le attività.

In secondo luogo, bisogna notare che talora si verificarono passaggi anche nella direzione opposta. Nel 1428 lo scalpellatore Biagio di Segna, dopo essere stato rimosso dal gruppo di maestri autorizzati a lavorare (O0202001.084l), fu ripreso «in manovalem Opere», con un salario di s. 8 (O0202001.086vh), distante dai s. 11 d. 10 dell’ultimo ruolo. Forse per l’età avanzata o forse per altre limitazioni fisiche, egli tornò a lavorare con questo status ‘declassato’. Ma di fatto egli rimaneva un maestro, per formazione, per capacità e per appartenenza all’Arte, così come Piero di Cofaccia rimaneva un manovale pur ‘essendo’ un maestro.

Per finire, si deve rilevare che era possibile, per quanto eccezionale, che lo stesso lavorante fosse considerato contemporaneamente maestro e manovale, lasciando evidentemente al capomaestro la responsabilità di attribuire un compito afferente all’una o all’altra categoria. I fratelli Dato e Giovanni di Balsimello, presenti una sola volta nei ruoli, in un atto del 1426 vengono condotti «ad laborandum pro magistris et pro manovalis» (O0202001.026f).

Questa flessibilità di soluzioni lavorative viene espressa nelle fonti con un sistema di riferimento semantico che pare essere regolare, almeno stando ai casi verificabili. Quella di manovale e quella di maestro sono qualifiche di status, che si riferiscono alle capacità professionali riconosciute dell’individuo. Ma allo stesso tempo esse fungono da regolatori contrattuali per indicare il ventaglio di compiti che l’individuo non solo doveva, ma era autorizzato a svolgere. È questa doppia dimensione che rende necessaria una valutazione caso per caso, che è agevole solo quando un maestro veniva ingaggiato «in manovalem», per cui conservava il suo status ma cambiava funzione. A questa ambivalenza poteva corrispondere un salario diverso a seconda dell’individuo e non solo dello status e della mansione, come si è visto con Piero di Cofaccia e Biagio di Segna.

Ciò non toglie che gli Operai potessero prendere anche provvedimenti di carattere generale in questo campo. Con una deliberazione del 18 febbraio 1433 si stabilì che «omnes magistri Opere» che avrebbero lavorato «tamquam manovales et ut manovales» dovevano essere pagati «prout manovales [...] et ad illam tantum rationem» (O0202001.195vl). La deliberazione, presa in un momento di difficoltà finanziaria, testimonia l’esistenza di livelli salariali connessi alla mansione ma non rispondenti a una griglia fissa di retribuzioni. La «illam tantum rationem» chiamata in causa, infatti, riguarda un ventaglio relativamente ampio di cifre e non quote rispondenti a limiti fissati a priori, come vedremo nel prossimo paragrafo. La premura degli Operai, in questo caso, era per l’applicazione di salari ‘da manovali’ a lavoranti che di solito erano pagati ‘da maestri’, ma ai quali comunque si era stabilita una retribuzione personale e non collettiva.

Quanto detto sinora ci mostra una realtà molto flessibile. I manovali appaiono più facilmente sottoposti alle fluttuazioni della richiesta di quanto non lo fossero i maestri, che comunque potevano essere impiegati in modi diversi.69 Le frequenti variazioni nel numero dei manovali lasciano immaginare, intorno al nostro cantiere, un movimento continuo di individui poco qualificati in cerca di lavoro, che magari intrattenevano rapporti con qualcuno degli autorizzati e che cercavano di ottenere un ingaggio, anche se di poco conto o di breve periodo. Per fare un esempio particolare, il manovale Giorgio di Landino fu iscritto alle giornate il 3 giugno 1421, dopo che «in dicta Opera laboravit absque conducta». Gli Operai deliberarono di pagargli solo le giornate lavorate ‘abusivamente’ e ne determinarono la futura esclusione (O0201078.036va). La vicenda si spiega probabilmente con un’estensione indebita dell’autorizzazione a lavorare che Giorgio ottenne il 9 maggio precedente, significativamente per soli 4 giorni (O0201078.030b). Non sappiamo se egli sia rimasto a lavorare fino al 3 giugno oppure se si sia ripresentato dopo qualche tempo.

Questo caso dimostra come, nonostante i controlli, fosse possibile inserirsi nella forza lavoro, specialmente per i lavoranti non qualificati. Non sappiamo quanto fosse diffuso il fenomeno, ma potrebbe darsi che per far fronte a questo stato di cose, o più semplicemente per organizzare meglio il pagamento, gli Operai abbiano deliberato i salari di 42 manovali l’8 aprile 1427 (O0202001.056vg). Questo documento, redatto quattro giorni dopo il ruolo estivo di quell’anno, è l’unico degli Anni della Cupola in cui compare un numero così elevato di manovali.70 Esso non può essere considerato come un atto ordinario, né il totale dei lavoranti elencati può essere considerato rappresentativo della quantità di manovali impiegati in un semestre. Bisogna limitarsi a rilevare che 40 dei 42 elencati non compaiono mai nei ruoli e che fra di loro ci sono un portinaio, un saponaio e due fanciulli (pagati s. 3 e s. 5), oltre ai manovali con mansioni particolari come Martino della Calcina e Piero di Cofaccia (pagati da s. 11 a s. 15). L’indagine sui motivi della stesura di questo ruolo sui generis rimane quindi aperta,così come quella più generale sui manovali dell’Opera.

6. I salari

Lo studio dei salari permette di conoscere molto sul mercato del lavoro, sui livelli di vita dei lavoranti e sulle politiche adottate dai committenti, particolarmente rilevanti quando si tratta istituzioni responsabili di cantieri ‘pubblici’.71 Per la Firenze tre-quattrocentesca alcuni studiosi hanno rilevato diverse serie di dati e fatto riflessioni che sono ormai dei punti di riferimento imprescindibili.72 Nelle prossime pagine, in dialogo con queste e altre ricerche, esamineremo alcune caratteristiche delle retribuzioni delle maestranze dell’Opera. Alla base del discorso ci saranno i salari stabiliti nei ruoli, ma ci si avvarrà anche di altri documenti. Si tenga presente che si considereranno solo i salari nominali, evitando una sortita nel campo dei salari reali che esulerebbe dagli scopi di questo studio.73

Prima di cominciare, è bene ricordare alcuni aspetti basilari: le retribuzioni erano stabilite individualmente e non secondo una griglia di valori rispondenti alla sola qualifica,74 come avveniva invece altrove pur con qualche adattamento individuale;75 il pagamento veniva effettuato ogni due settimane dal camarlingo dell’Opera. Inoltre, è opportuno fare alcune precisazioni di metodo, legate alla disponibilità e alla natura delle informazioni. Innanzitutto, il discorso verterà solo sulla retribuzione dei maestri, perché le difficoltà riguardanti i manovali sconsigliano di prenderli in considerazione. Non è possibile, infatti, ricostruire compiutamente il trend salariale dei manovali, né analizzarne le fluttuazioni. Possiamo solo limitarci a rilevare alcuni dati. In primo luogo si dava la possibilità che un manovale potesse guadagnare più di un maestro, come si è già detto. Questo è un tratto caratteristico della sola Opera fiorentina, poiché non sembra che altrove si sia mai verificato qualcosa del genere.76

In secondo luogo, la media salariale dei manovali dell’Opera, calcolata sul ruolo ‘speciale’ del 1427 e sui pagamenti del 1434-1435, è leggermente superiore a quella dei loro colleghi che operavano nella Firenze del tempo: circa s. 10 contro circa s. 9 d. 6.77 La stessa differenza può essere osservata da un altro punto di vista: mentre i manovali in genere ricevevano un salario pari alla metà di quello dei maestri, per quelli dell’Opera esso era leggermente superiore.78

Dei manovali non si può dire di più, ma vanno tenuti ancora presenti per un’altra precisazione di metodo. Considerando alcune incertezze nella distinzione fra maestri e manovali, per elaborare le statistiche è necessario stabilire uno scalino salariale che, sebbene non si fondi su dati reali, può essere considerato plausibile. Questo scalino sarà fissato alla media ricordata sopra, cioè s. 10, sotto i quali un lavorante non può essere considerato maestro.

Chiariti questi aspetti possiamo dedicarci all’analisi dei salari dei maestri, sottolineando che i dati delle statistiche vanno considerati come indicativi e non come strettamente rappresentativi della realtà, per tutte le complicazioni che abbiamo messo in evidenza. Nella tabella 7 sono rappresentate le medie salariali semestrali dei maestri elencati nei ruoli, di cui si può osservare il trend nel grafico 1. Il salario medio dei maestri dell’Opera negli anni di costruzione della cupola sono più bassi di quasi s. 3 di quelli dei loro colleghi operanti nella Firenze dello stesso periodo, che è di s. 18 d. 2.79 Lavorare per l’Opera significava guadagnare di meno, ma c’era la possibilità – almeno per un nutrito gruppo di maestri di cui si dirà – di avere un lavoro quasi sicuro per un certo periodo, come accadeva anche in altri cantieri.80

Tabella 7. Medie salariali semestrali dei maestri elencati nei ruoli

Per l’estate 1433 si è considerata la seconda delle liste disponibili (aggiornamento della prima)
I salari sotto i s. 10 non sono stati computati

Semestre

Salario medio

(soldi. denari)

 

Semestre

Salario medio

(soldi. denari)

1420 estate

15. 6

 

1428 estate

15. 6

1421 estate

15. 11

 

1428-1429 inverno

14. 9

1421-1422 inverno

16

 

1429 estate

15. 2

1422 estate

16

 

1429-1430 inverno

14. 5

1422-1423 inverno

15. 11

 

1430 estate

15. 7

1423 estate

17. 4

 

1430-1431 inverno

15. 1

1423-1424 inverno

15. 2

 

1431 estate

15. 4

1424 estate

16. 7

 

1431-1432 inverno

13. 11

1424-1425 inverno

15. 2

 

1432 estate

14. 2

1425 estate

15. 11

 

1432-1433 inverno

15. 1

1425-1426 inverno

14. 10

 

1433 estate

15. 5

1426 estate

16

 

1433-1434 inverno

14

1426-1427 inverno

15. 1

 

1434 estate

15. 6

1427 estate

15. 5

 

1434-1435 inverno

14. 3

1427-1428 inverno

15. 2

 

1435-1436 inverno

14. 11

Salario medio (1420-1436): 15. 4

 

 

 


Apri Tabella 7 in una nuova finestra

 

Il salario massimo per un maestro di qualsiasi mestiere si attestava sui s. 20, cifra superata raramente, qualora si svolgessero compiti che richiedevano particolari abilità o erano pericolosi. Possiamo allora assumere questa cifra come standard per il salario massimo dei maestri dell’Opera. Non a caso, s. 20 era anche il salario giornaliero che riceveva il capomaestro Battista d’Antonio, in quanto scalpellatore. Per il suo ruolo direttivo egli riceveva invece uno stipendio di f. 3 al mese, che nel 1430 salì a f. 8 quando smise di essere pagato a giornata.81

I dati della tabella 7 e del grafico 1 invitano a considerare le oscillazioni salariali. Insieme alla qualifica, il fattore principale di variazione era la stagione, che determinava una modifica legata sia alle minori o maggiori ore di lavoro, sia alla minore o maggiore domanda.82 Negli Anni della Cupola l’estate andava dal 1 aprile al 30 settembre di un anno solare e l’inverno dal 1 ottobre al 31 marzo. Nei ruoli si riscontra tuttavia qualche eccezione, come mostrano le date di inizio e fine semestre dichiarate in alcuni di essi.83

Grafico 1. Trend salariale dei maestri elencati nei ruoli

Medie salariali espresse in soldi
Per l’estate 1433 si è considerata la seconda delle liste disponibili (aggiornamento della prima)
I salari sotto i s. 10 non sono stati computati


Apri Grafico 1 in una nuova finestra

 

Dai dati in nostro possesso risulta che le riduzioni dall’estate all’inverno erano in media di s. 1 (-6,5%), quindi meno consistenti rispetto all’ambiente fiorentino (-10-20%).84 Gli aumenti nel passaggio dall’inverno all’estate erano di d. 10 (+5,2%). Ciò contribuisce a spiegare perché l’andamento dei salari rappresentato nel grafico 1 sia negativo.

Tuttavia la questione non può chiudersi con la semplice elaborazione di questi dati, perché dalla tabella 7 si evince che era possibile che le variazioni funzionassero diversamente. Fra l’estate 1421 e l’inverno 1421-1422 i salari aumentarono invece di diminuire (+1 d.), così come successe fra l’estate 1432 e l’inverno 1432-1433 (+11 d.). Inoltre, fra l’inverno 1421-1422 e l’estate 1423, la media salariale rimane a s. 16. Queste eccezioni si spiegano, in termini generali, con una politica salariale che non era fissa ma, come in altri cantieri, rispondente alle necessità del momento.85 Inoltre il calcolo delle medie non tiene conto delle variazioni interne alla forza lavoro, per cui cambiando il numero e la qualità dei lavoranti le variazioni stagionali risentono di fattori diversi dal cambio di stagione. Infine, molti lavoranti non furono sottoposti alle riduzioni invernali, oppure non lo furono sempre. Trattandosi nella maggior parte dei casi di maestri impiegati per lungo tempo e pagati meglio, questa stabilità salariale incide sulle medie calcolate.

I maestri di alto livello non erano i soli ad essere esentati dalle variazioni, come mostra un documento che esemplifica il meccanismo di riduzione dei salari per l’inverno. In un ricordo dell’8 novembre 1423, il provveditore annotava che gli Operai avevano ‘fatto’ i salari per la stagione in corso (O0204011.014vb).86 Nel documento si elencano poi 8 maestri dei quali si dichiara il salario, per differenziarli da «tutti gli altri maestri» che avrebbero avuto, per l’inverno, una riduzione di «denario uno per soldo el salaro aveano la ‘state passata del 1423». Al momento della determinazione dei salari, si era stabilita una riduzione standard di d. 1 per ogni soldo percepito nel semestre precedente. Attuando un confronto fra i salari dei due semestri consecutivi (estate 1423 e inverno 1423-1424), il provvedimento risulta applicato alla lettera per 41 dei 48 lavoranti che sono presenti in entrambi i ruoli. Degli altri 7, 6 fanno parte degli esentati e 1 è un caso particolare.87

Questo passaggio ci mostra come le decisioni generali prese dagli Operai potessero modificarsi per alcuni individui, senza che si applicasse per loro una logica di gruppo. Se si raffrontano i salari stabiliti l’8 novembre con quelli del ruolo estivo 1423, si nota che solo 3 degli esentati conservarono la retribuzione precedente, fra cui il capomaestro.88 Per altri 2, si trattò di una riduzione minore di quella applicata agli altri maestri,89 mentre di uno non conosciamo il salario precedente e di un altro non è fatto il nome.90 Il maestro che manca all’appello è Nanni di Berto Ferro, il cui salario non fu né confermato né ridotto, ma aumentato di mezzo soldo.91 Da questa vicenda emerge il nesso fra salario e competenze individuali, ma esso va considerato insieme al mestiere svolto e alle dinamiche retributive connesse. Nella tabella 8 si offrono le medie salariali semestrali per qualifica, che non comprendono i salari dei fanciulli che fecero carriera in questi anni, perché non è possibile stabilire quando diventarono maestri.92

Tabella 8. Le medie e i massimi salariali per qualifica

Dati presentati in ordine discendente per salario medio

Qualifica

Salario medio

Salario massimo

Muratore

s. 18 d. 9

s. 22

Muratore e legnaiolo

s. 18 d. 9

s. 20

Bottaio

s. 18 d. 6

s. 20

Legnaiolo

s. 17 d. 6

s. 25

Segatore

s. 17 d. 4

s. 19

Fabbro

s. 16 d. 6

s. 20

Fabbro e scalpellatore

s. 16

s. 17 d. 6

Scalpellatore e muratore

s. 15 d. 10

s. 20

Scalpellatore

s. 14

s. 23


Apri Tabella 8 in una nuova finestra

 

Com’è evidente, alle maggiori possibilità di impiego per gli scalpellatori si contrapponeva un salario medio che era il più basso di tutti. Succedeva l’esatto contrario per i muratori, che erano i maestri meglio pagati, come in altri cantieri fiorentini e non,93 e i cui salari erano pienamente nella media cittadina, compresa fra i s. 16 e i s. 20.94

Anche l’alta variabilità salariale degli scalpellatori è un fenomeno comune nella Firenze del nostro periodo. Tuttavia, se è vero che le loro retribuzioni più basse erano poco sopra (o a volte anche sotto, si può aggiungere) a quelle dei manovali,95 i salari più alti raggiungevano anche il massimo standard che abbiamo definito, cioè s. 20. In alcuni casi sporadici arrivavano anche a superarli.

Altre fonti ci illuminano più dettagliatamente su alcune differenze retributive, legate allo svolgimento di funzioni direttive e al tipo di lavoro compiuto nella costruzione della cupola. Per il primo caso si può portare l’esempio dei provveditori di Trassinaia. In diversi semestri uno stesso lavorante poteva ricevere due salari, uno «quando laboraret Florentie in Opera», l’altro come «provisor in dicta chava [Trassinarie]» (O0202001.030a). Le citazioni riguardano lo scalpellatore Andrea di Capretta da Settignano, a lungo provveditore della cava (dal 1422 alla sua morte nel 1430). A lui e agli altri provveditori si attribuiva di solito un salario maggiore rispetto a quello previsto per il lavoro all’Opera, come riconoscimento economico del ruolo direttivo o organizzativo. Il provveditore doveva infatti gestire il lavoro in loco e i rapporti con Firenze, cioè rispondere alle richieste di materiale dell’Opera.96 Per questo lavoro Andrea di Capretta arrivò a prendere fino a s. 5 in più rispetto al suo salario da scalpellatore all’Opera.97

Per quanto riguarda il tipo di lavoro compiuto in cantiere, il caso più eclatante riguarda i lavoranti in alto sulla cupola e in condizioni di pericolo, in particolare negli ultimi anni della costruzione.98 Per fare un esempio, il 9 settembre 1427 tre maestri si videro aumentare i salari per i «maxima pericula que cotidie supportant», perché «est necesse quod se collent super dicta cupola» (O0202001.067va). Ma non sempre al lavoro in alto corrispondevano dei premi salariali. Nell’ottobre 1432 si stabilì che 3 persone dovessero lavorare «suso», con una retribuzione «per ’ salari usati» (O0204004.011m).99 La differenziazione salariale individuale emerge così come fattore largamente presente nei rapporti fra le maestranze e l’Opera. Dietro la determinazione di un salario potevano esserci diversi processi che non sempre siamo in grado di cogliere, se si ipotizza una pur minima capacità contrattuale dei maestri, che non è visibile nelle fonti.

In un paio di casi, però, la negoziazione emerge come modalità ufficiale di determinazione dei salari. Nel ruolo dell’inverno 1425-1426 si legge che gli Operai avevano deliberato i compensi, «exceptis salariis illorum magistrorum qui habent ex pacto cum prefata Opera» (O0202001.014a). I maestri i cui salari erano stati concordati (ex pacto) sono 5, fra cui il capomaestro e il provveditore di Trassinaia.100 Costoro mancano nel ruolo invernale 1425-1426, ma compaiono in una «confirmatio salariorum illorum magistrorum qui habent ex pacto» del 23 novembre 1425, due giorni dopo il ruolo (O0202001.017va).101 Con questo atto gli Operai stabilivano il salario sia per l’inverno sia per l’estate, riconoscendo un patto che era stato fatto dai maestri con i loro «antecessores». Un caso simile si trova nel ruolo estivo 1419, dove si precisa che il salario di Antonio di Filippo Aliosso era stabilito «ex pacto» (O0201075.024a).

Il tratto comune di questi due casi è l’importanza dei maestri, di cui essi stessi dovevano essere coscienti e su cui si poggiarono per contrattare con l’Opera un trattamento economico favorevole. Ma si tratta pur sempre di eccezioni, in un contesto che le fonti ci mostrano saldamente in mano agli Operai e ai responsabili del cantiere e che conferma lo scarso spazio di negoziazione disponibile per i lavoranti.102

7. Il numero dei lavoranti e le giornate lavorate

Come in ogni cantiere, il numero di lavoranti impiegati variava nei diversi periodi, in base alla fase costruttiva, alle necessità del momento e alla disponibilità finanziaria. Occupiamoci allora dei lavoranti dal punto di vista quantitativo. Nel grafico 2 sono rappresentati gli individui elencati nei 30 ruoli semestrali disponibili, suddivisi per sede di lavoro: l’Opera – che comprende i lavoranti impiegati nel duomo o in altri cantieri gestiti dalla fabbriceria –, la cava di Trassinaia ed entrambe. Gli individui computati in quest’ultimo campo non sono stati conteggiati negli altri due. Si ricorda che queste cifre si riferiscono a coloro che erano autorizzati a lavorare, ma ciò non significa che abbiano effettivamente lavorato o che l’abbiano fatto tutti i giorni.

Le cifre del grafico 2, in particolare i totali semestrali e la media generale di 65 maestri a semestre,103 permettono di paragonare il cantiere del duomo fiorentino, negli anni di costruzione della cupola, a quelli del duomo di Orvieto a metà Trecento,104 del duomo di Milano a fine Trecento,105 e di Palazzo Strozzi a fine Quattrocento.106 Rispetto a Bologna, invece, l’Opera impiegò in media una decina di maestri in più.107

Grafico 2. Totale di lavoranti elencati nei ruoli semestrali

I totali includono tutti i lavoranti elencati nei ruoli: maestri, manovali e fanciulli
Per l’estate 1421 si sono considerati il totale e la composizione risultanti dopo l’invio dei maestri alla cava di Trassinaia, avvenuto in due fasi (6 giugno e 10 luglio)
Per l’estate 1433 si è considerata la seconda delle liste disponibili (aggiornamento della prima)
Dal computo dell’inverno 1435-1436 sono stati esclusi Agnolo di Lazzaro e Francesco di Lucchese, maestri realizzatori degli armadi lignei della sacrestia


Apri Grafico 2 in una nuova finestra

 

Com’è evidente, fra un ruolo e l’altro la quantità di lavoranti autorizzati poteva variare, anche di molto. Quasi tutte le fluttuazioni, anche quelle che non compaiono nel grafico 2 perché stabilite nel corso del semestre, trovano spiegazioni precise nei documenti, in cui le riduzioni del numero dei lavoranti hanno una parte importante per comprendere come l’organizzazione del cantiere si modificasse in base alle varie necessità.

Le riduzioni erano dettate da motivi finanziari e/o organizzativi. Per contro, con gli aumenti numerici si doveva far fronte alle necessità costruttive, dovendo in alcuni casi trovare un equilibrio con una scarsa disponibilità finanziaria. Per far emergere questa varietà di esigenze e di soluzioni la via migliore è prendere in considerazione alcuni casi. Parlando dei maestri pluri-qualificati abbiamo già incontrato la riduzione del numero di addetti del 1423,108 ma ci sono altri esempi che rappresentano al meglio i fenomeni di cui stiamo parlando: la riduzione del 1420, le oscillazioni del 1426 e la fase complessa del 1430-1433.

7.1. La riduzione del 1420

La prima consistente riduzione della forza lavoro fu decisa il 28 giugno 1420, due mesi e mezzo dopo la deliberazione del ruolo estivo (O0201077.045vb). Nell’atto si dichiara che gli Operai erano stati informati del modo in cui si stava per dare inizio alla cupola maggiore e del fatto che il numero di maestri e manovali era «ultra solitum». Si ritenne allora «superfluum et inutile» il numero di scalpellatori, «cum etiam marmor in Opera conductus non sit nec conduci speretur». Poco prima si erano messe in campo molte risorse finanziarie e umane per il completamento della terza tribunetta, ma l’avvio dei lavori alla cupola richiedeva una riorganizzazione, anche per l’interruzione dell’afflusso di marmo.109 Non potendo l’Opera sopportare le spese per i lavoranti in eccesso, si procedette a scrutinio segreto decidendo che dal 6 luglio seguente i maestri di scalpello «et alii inferius describendi» andavano rimossi. Tutti gli altri potevano rimanere alle condizioni stabilite. Nel documento segue l’elenco di maestri e manovali che «in dicta Opera rimanere debent», in numero di 48. La forza lavoro venne di fatto dimezzata, poiché gli esclusi furono 49.110

Bisogna domandarsi quali siano stati i criteri per scegliere gli esclusi. Per cercare una risposta, si possono considerare alcuni elementi: i salari fissati per l’estate 1420, la qualifica coeva e/o futura dei singoli e la durata del loro rapporto di lavoro con l’Opera. Queste informazioni sono riassunte nella tabella D in Appendice, in cui sono elencati i lavoranti cassati.

Dal prospetto emerge innanzitutto che, oltre agli scalpellatori, furono esclusi anche i maestri del ferro e del legno: i fabbri passarono da 3 a 2, i maestri legnaioli da 6 a 4, i segatori di legname da 2 a 0. Coerentemente con lo spirito pragmatico del provvedimento, la maggior parte dei rimossi era composta da scalpellatori, mentre solo 1 muratore su 10 fu escluso, Lotto di Guido, che in quei giorni era però in fin di vita. I professionisti della muratura furono conservati interamente, in vista del tipo di lavoro che si stava avviando. La logica di fondo dovette essere la stessa che presiedette alla riduzione di forza lavoro del gennaio 1423, quando si vollero mantenere 34 lavoranti ripartiti per qualifica, con 22 maestri di cazzuola.

Consideriamo ora l’esperienza dei singoli e la durata dei rapporti di lavoro. Sia fra gli esclusi sia fra i conservati figurano maestri esperti, ben pagati e in relazione con l’Opera da anni, così come individui meno qualificati, meno pagati e dal rapporto più recente. Nella scelta dei lavoranti da mantenere si nota un certo peso delle relazioni già esistenti, che però non sembrano essere decisive. I lavoranti impiegati da anni sono la maggioranza di quelli conservati: 29 su 48 avevano rapporti almeno dal 1417 (60,4%), in 7 almeno dal 1418 (14,5%) e in 8 almeno dal 1419 (16,6%); sull’altro fronte, appena 4 avevano iniziato a lavorare nello stesso 1420 (8,3%). Tuttavia lo stesso fenomeno si riscontra fra gli esclusi, anche se con un peso diverso: 19 su 49 lavoravano dal 1417 (38,7%), 15 dal 1418 (30,6%), 3 dal 1419 (6,1%); 12 erano stati assunti per la prima volta nel 1420 (24,4%).

È importante sottolineare che la maggior parte degli esclusi poté riprendere a lavorare già qualche mese dopo. Coloro che non rientrarono mai più nei ranghi dell’Opera sono infatti solo 12 (24,4%). A questi vanno aggiunti 5 maestri che, sebbene in questa occasione siano rimasti a lavorare, dal semestre seguente non compaiono mai più. Ma questi fenomeni possono spiegarsi in tanti modi e, senza informazioni come quella riguardante la morte di Lotto di Guido (il tredicesimo che non tornò a lavorare), è impossibile sapere se l’interruzione dei rapporti di lavoro fosse una scelta obbligata o volontaria.

7.2. Le oscillazioni del 1426

Fra la fine del 1425 e l’inizio del 1426, realizzato il secondo camminamento, i lavori furono sospesi per programmare il proseguimento della costruzione della cupola, che poneva il problema dell’accentuazione dell’inclinazione interna. I lavori ripresero nel marzo 1426, ma in questo periodo gli Operai e i responsabili del cantiere e dei progetti si trovarono a sperimentare diverse soluzioni, sul piano tecnico come su quello dell’organizzazione della forza lavoro.111 Nella primavera-estate 1426 si notano infatti diversi cambiamenti significativi, che rispondevano alle necessità che si ponevano via via che la nuova fase progettuale e costruttiva compiva i suoi progressi. Data la complessità di queste variazioni, si ritiene utile offrirne un prospetto riassuntivo e poi analizzare alcuni aspetti.

Tabella 9. Le variazioni del totale dei lavoranti nella primavera-estate 1426

N.

Data (1426)

Deliberazione

Variazione numero di lavoranti

Totale lavoranti

Fonte

-

-

Ruolo 11 (inverno 1425-1426)

71

O0202001.014a

1

diverse

diverse condotte

+6

77

diverse

2

29 aprile

Rimozione di 25 lavoranti, dal 5 maggio

-25

52

O0202001.029va

3

29 aprile

Ruolo 12 (estate 1426)

+3*

55

O0202001.030a

4

15 maggio

Condotta di 4 scalpellatori

+4

59

O0202001.032vc

5

15 maggio

Ricondotta di 12 maestri, dal 20 maggio

+12

71

O0202001.032vd

6

15 maggio

Esclusione di 6 lavoranti del ruolo, dal 20 maggio

-6

65

O0202001.032ve

7

28 giugno

Ricondotta di 7 maestri

+7

72

O0202001.036f

* L’aumento è dedotto dal numero di lavoranti presenti nel ruolo

Apri Tabella 9 in una nuova finestra

 

Il punto di partenza è il ruolo invernale 1425-1426, che elenca 71 lavoranti. Nei mesi seguenti, come accadeva spesso, qualche altro lavorante fu ingaggiato (tabella 9, n. 1). Ma il 29 aprile 1426 gli Operai intervennero nettamente sul numero degli autorizzati, decretando una riduzione di 25 unità a partire dal 4 maggio successivo. Nello stesso giorno stilarono il ruolo dell’estate già cominciata (tabella 9, nn. 2-3). La riduzione era necessaria per contenere le spese, in una fase di sforzo finanziario per la costruzione del settore successivo della cupola. FilippoBrunelleschi, provveditore della cupola, e Battista di Antonio, capomaestro, avevano stimato come superflui 25 lavoranti, scegliendo insieme agli Operai di rimuovere i «minus utiles». Questi ultimi sono elencati nella tabella E dell’Appendice, insieme ad altri dati rilevanti per il nostro ragionamento.

Si deve notare innanzitutto che 19 su 25 esclusi figurano nel ruolo invernale 1425-1426, mentre i restanti 6 erano stati condotti fra il dicembre 1425 e il marzo 1426 (tabella 9, n. 1), anche se di 2 l’ingaggio non è documentato. Gli ultimi arrivati, quindi, furono allontanati dopo pochi mesi. Tuttavia, come per il 1420, anche in questo caso troviamo diverse qualifiche, diverse durate di rapporti di lavoro e diversi salari fra gli esclusi. Evitando di riproporre cifre e percentuali, ci si limiterà a dire che anche nel 1426 l’esperienza maturata con l’Opera ebbe un certo peso, ma che non fu determinante.

In questa occasione conosciamo però il criterio esplicito per l’esclusione, che era la minore utilità. Il fatto che fra i cassati ci fossero maestri di grande esperienza lascia pensare che siano state valutate le potenzialità degli individui rispetto alla fase costruttiva che si stava inaugurando. È probabile che almeno alcuni dei maestri più anziani e di quelli fisicamente meno adatti siano stati messi da parte perché ritenuti inadeguati a lavorare in alto, in condizioni più difficili.

In ogni caso, il 15 maggio si intervenne di nuovo sulla forza lavoro con una riconfigurazione particolare (tabella 9, nn. 4-6). Nello stesso momento si decise di condurre 4 scalpellatori, di ricondurre 12 dei maestri prima esclusi e di allontanare 6 lavoranti inclusi nel ruolo estivo. Per questi ultimi due gruppi, il passaggio sarebbe avvenuto il 20 maggio. Fra i 4 scalpellatori condotti ce n’erano 2 che erano stati allontanati il 29 aprile, quindi si trattò di fatto di una reintegrazione.112 Degli altri 2, uno fu richiamato dopo essere stato escluso dal ruolo estivo 1426 e l’altro fu condotto per la prima volta.113 Fra i 12 maestri ricondotti, solo 6 erano stati cassati il 29 aprile. Fra questi, ci sono 5 maestri in rapporto con l’Opera almeno dal 1417 e 1 che aveva iniziato nel 1425.114 Gli altri 6 maestri ricondotti erano stati attivi nel semestre invernale 1425-1426 e anche nei precedenti.115 Anche in questo caso, l’esistenza di rapporti pregressi con l’Opera sembra avere avuto un peso nella scelta di coloro che dovevano essere reintegrati. Lo stesso può dirsi per quelli da escludere, visto che dei 6 maestri cassati il 15 maggio, 3 ebbero rapporti con l’Opera solo in questo periodo, mentre gli altri 3 lavoravano già da qualche tempo, anche se non continuativamente.116

Per finire, ci fu un’altra ricondotta nel giugno 1426 che aumentò i lavoranti di 7 unità (tabella 9, n. 7). Dandola per eseguita in toto, la quantità di lavoranti autorizzati per l’estate 1426, a partire da fine giugno, raggiunse quota 72, una cifra che era sopra la media ma soprattutto vicina a quella del semestre di partenza, l’inverno 1425-1426. Le necessità emerse progressivamente nella nuova fase costruttiva portarono a riassorbire l’eccedenza di 25 lavoranti prevista da Battista di Antonio e Filippo Brunelleschi in aprile, e anzi ad aggiungere un lavorante. Il problema era conciliare queste esigenze con le necessità finanziarie. Per questo si decise che i 12 maestri ricondotti il 15 maggio avrebbero ricevuto i loro salari solo due mesi dopo l’inizio dell’attività, mentre i 7 ricondotti nel giugno avrebbero avuto una retribuzione minore di un quarto rispetto alla precedente.

7.3. La fase difficile degli anni 1430-1433

L’ultima variazione importante si colloca all’inizio degli anni trenta. Fra il 1430 e il 1431 il cantiere subì alcune interruzioni relativamente prolungate, dovute a diversi fattori: l’impegno di Brunelleschi nella guerra di Lucca, le incertezze sulla stabilità delle navate e una crisi finanziaria.117 Al termine di questo travagliato periodo, nei mesi centrali del 1431 si riprese a lavorare alla cupola, per erigere il settore poggiante sul terzo camminamento. Ma da questo momento in avanti si notano oscillazioni significative nel numero dei lavoranti autorizzati, che si intrecciano con altri provvedimenti riguardanti il lavoro. Per una migliore comprensione di questa fase, si farà riferimento alla tabella F dell’Appendice, in cui sono riassunti gli atti su cui ci baseremo.118

Come si nota osservando la sequenza dei totali di lavoranti, vi furono variazioni consistenti sia verso l’alto che verso il basso. Partiamo dal primo ruolo disponibile prima di queste fluttuazioni, quello estivo 1430. Considerando i rallentamenti di quell’anno, bisogna notare che il totale di lavoranti per quel semestre è addirittura fra i più alti in assoluto, 82.119 I salari furono fissati l’8 aprile, 20 giorni dopo che Brunelleschi era stato autorizzato ad andare a Lucca.120 Di conseguenza, non si prevedeva di fermare i lavori durante la sua assenza. Anzi, fra l’aprile e il settembre si deliberarono diverse condotte che, al netto di alcuni allontanamenti (autorizzazioni a lavorare fuori e infortuni), aumentarono il totale a 89 (tabella F, n. 1).

Ma a partire dal ruolo invernale 1430-1431 si assiste a un’alternanza quasi perfetta fra riduzioni e aumenti di lavoranti autorizzati, che si protrae fino al giugno 1433. Due consistenti riduzioni si ebbero con il ruolo del 18 settembre, stilato poco dopo il rientro di Brunelleschi, e con la deliberazione del 12 dicembre (tabella F, nn. 2-3). Il ruolo estivo 1431 previde invece un’immissione di 41 lavoranti (tabella F, n. 4), in concomitanza con la ripresa dei lavori sulla cupola ma anche con quelli alle navate della chiesa. Era emerso infatti il problema della loro stabilità, che si pensò di risolvere installando un sistema di catene di ferro e di legno. Stando alla cronologia di consultazioni, modelli e arrivi del materiale, i lavori alle navate dovettero cominciare nella primavera-estate 1431.121 Tuttavia neanche due mesi dopo, di fronte a una crisi finanziaria dell’Opera, si decise di tagliare di s. 2 il salario di tutti i maestri (O0202001.143vb) e, soprattutto, di ridurre il loro numero di 34 unità, stabilendo che solo 18 degli scalpellatori «laborantes inferius in Opera ad presens» potessero rimanere (tabella F, n. 5). Nell’anno seguente, evidentemente superata la crisi, si riscontra una risalita del numero di lavoranti che con il ruolo estivo 1432 giunse addirittura a toccare il massimo dei venti anni qui considerati, 88 (tabella F, nn. 6-7). Senonché, nel giro di pochi mesi, troviamo una riduzione di 34 maestri e un aumento progressivo di altri 19 (tabella F, nn. 8-9).

Questo periodo fu caratterizzato, da un lato, dall’accelerazione nei lavori della cupola e in altri settori della cattedrale, come le navate, e dall’altro dalla necessità di razionalizzare e organizzare al meglio la forza lavoro. Il 12 agosto gli Operai, con il parere positivo di Brunelleschi, Ghiberti e Battista di Antonio, deliberarono «quod cupola claudatur et muretur usque ad vanum» (O0202001.167g), mentre contestualmente richiamavano a lavorare 3 maestri, previa approvazione dei consoli dell’Arte della Lana (O0202001.167e). Fra il settembre e l’ottobre 1432 si notano due cambiamenti nell’andamento dei lavori. Da un lato, gli atti riguardanti le catene delle navate diventano sempre più rari e lasciano pensare a un rallentamento su questo fronte. Dall’altro, in particolare a ottobre, si diede ulteriore impulso alle attività riguardanti la cupola. L’11 ottobre si decise di tenere l’Opera aperta nei giorni festivi (O0202001.188i); il 29 si ordinò al capomaestro di far lavorare archetti di marmo per le creste della cupola (O0202001.189h); il 30 si decise che i maestri lavoranti in alto, quando erano costretti dal maltempo a stare in basso, avrebbero dovuto impegnarsi esclusivamente «super schalis cupole» (O0202001.189vf). La combinazione di questi fenomeni ebbe un effetto drastico sul numero di lavoranti. Con il ruolo invernale del 1432-1433, deliberato il 31 ottobre, si autorizzarono a lavorare appena 26 maestri, 47 in meno degli attivi in quel momento (tabella F, n. 10).

L’Opera stava puntando alla massima efficienza attraverso un’organizzazione dettagliata del lavoro in cantiere e facendo lavorare di più un numero minore di maestri. Ma questa politica fu completamente ribaltata subito dopo, perché già a partire dal novembre 1432 troviamo diverse condotte, fino al marzo 1433. Questi lavoranti confluirono nel ruolo estivo del 29 aprile 1433, che riporta il totale a valori non eccezionali (tabella F, n. 11). In questo periodo si stavano svolgendo gli stessi lavori dell’autunno precedente: oltre all’ultimo settore della cupola e alle sue scale, si tornò infatti a lavorare alle navate, per le quali la documentazione torna a essere più frequente dall’aprile-maggio 1433.122 A questo nuovo ampliamento dei lavori dovrebbe dunque collegarsi l’aumento di maestri all’Opera attuato con il ruolo, mentre per i 4 di Trassinaia questo legame è dichiarato in un altro atto: essi dovevano lavorare la pietra «pro certis schalis cupole magne et pro plano parapetti» (O0202001.196g). Per quanto riguarda gli altri maestri, bisogna notare che risale a questo periodo l’atto con cui gli Operai ribadirono che i maestri ingaggiati come manovali dovevano essere pagati «tamquam manovales et ut manovales» (O0202001.195vl).123 Potrebbe darsi allora che un certo numero di maestri fosse stato impiegato come supporto qualificato ai loro colleghi, che avrebbero anche potuto sostituire in caso di necessità.

Ma in quello stesso periodo c’era anche un altro lavoro da svolgere: pavimentare la parte nuova della chiesa, sotto la cupola e nelle tribune. Il 28 maggio 1433 gli Operai diedero a Brunelleschi, Ghiberti e Battista di Antonio la balìa per far fare le pietre per la pavimentazione, operazione da affidare ai maestri scalpellatori (O0202001.198vh). In quello stesso torno di tempo si procedette a ulteriori condotte, di 4 maestri (di cui 1 già arruolato) e 1 segatore (che sostituisse quello già ingaggiato quando non lavorava all’Opera).124 I 4 nuovi nomi confluirono in un nuovo elenco dei salari redatto il 15 giugno 1433, nel quale sono presenti anche tutti i maestri dell’elenco del 29 aprile, tranne uno.125 La lieve variazione numerica rispetto al ruolo precedente (+4) mostra che alla base dell’intervento non c’erano necessità organizzative o finanziarie. E infatti il 5 giugno gli Operai avevano deliberato di annullare il ruolo precedente e rifare i salari perché «in eis fuisse commissos plures errores, non habita bona informatione». La modifica fu approvata subito dai consoli dell’Arte della Lana (O0202001.199f). Gli «errores» cui si fa riferimento riguardano esclusivamente i salari, che nella revisione del ruolo furono aumentati a 23 maestri e diminuiti a 2;126 per tutti gli altri il compenso rimase invariato. C’è da notare inoltre che i 4 maestri destinati a Trassinaia il 29 aprile, il 15 giugno appaiono essere rientrati all’Opera, con i salari immutati.

Quest’ultima variazione chiuse un periodo travagliato sotto diversi punti di vista. Da questo momento in poi, il numero di lavoranti rimase sostanzialmente stabile, compreso fra i 54 e i 65 maestri, appena sotto la media.

7.4. La forza lavoro effettiva nel 1434

Quanto detto sinora si è basato principalmente sui ruoli, che come sappiamo sono l’unica tipologia di atti che ci permette di analizzare dati coerenti e riguardanti tutto il periodo di nostro interesse. Nulla ci impedisce però di analizzare i quaderni di cassa per ricostruire la forza lavoro effettiva dei mesi ai quali si riferiscono, attraverso le partite dedicate ai maestri che contengono poste per il pagamento delle giornate lavorate. Qui prenderemo in esame il primo quaderno (VIII 1 1), sia perché riguarda un periodo di attività legato ancora alla cupola, sia perché possediamo due ruoli che vi si sovrappongono, quello estivo 1434 e quello invernale 1434-1435. Ciò si spiega col fatto che i quaderni di cassa coprivano in genere il semestre secondo l’anno solare, da gennaio a giugno e da luglio a dicembre.127 Il quaderno che prendiamo in esame riguarda invece un periodo un po’ diverso, poiché contiene atti che vanno dal 4 agosto 1434 al 31 gennaio 1435.

Come si ricorderà, i lavoranti venivano pagati ogni quindici giorni. Il camarlingo dell’Opera, però, contabilizzava questi pagamenti più tardi, sommando le cifre versate nel periodo compreso fra una sua registrazione e l’altra. Nel nostro quaderno di cassa il camarlingo Niccolò Biliotti registrò i pagamenti ai lavoranti due volte, il 20 settembre 1434 e il 5 gennaio 1435.

La prima ondata di registrazioni – che in qualche caso fu completata qualche giorno dopo il 20 settembre – riguarda i pagamenti effettuati per le giornate lavorate nel periodo 1 luglio-15 settembre, tranne che per alcuni lavoranti cui si contabilizzarono anche le giornate di giugno. Per motivi al momento non noti, le giornate della seconda metà di settembre mancano all’appello. La seconda ondata di registrazioni – anch’essa con qualche posta successiva al 5 gennaio – riguarda il lavoro svolto nell’ultimo trimestre 1434. Nella tabella 10 si presentano, per ciascun periodo contabilizzato, la quantità di lavoranti e la media delle giornate lavorate, entrambe divise per qualifica e per luoghi di lavoro specificati.

Tabella 10. Presenze medie dei lavoranti dedotte dal primo quaderno di cassa (VIII 1 1)

Sotto la voce ‘manovali’ sono computati sia quelli certi sia quelli probabili (lavoranti non qualificati che hanno un salario inferiore ai s. 10)

A) 1 luglio - 15 settembre 1434

 

Opera

Santa Maria Novella

Chiostro dei preti

Non specificato

Opera +
Non specificato

Tutte

 

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Maestri

64

36 ¾

25

4 ½

11*

10 ½*

1*

2*

64*

36 ¾*

67*

38 ½ *

Manovali

12

20 1/5

12

5 ¼

10

10 ¾

 

 

 

 

15

27

Fanciulli

1

58

 

 

 

 

 

 

 

 

1

58

Totali

77

34 ½

37

4 ⅔

21*

10 ½*

1*

2*

64*

36 ¾*

83*

36 ¾*

* Comprende una registrazione di giornate lavorate nei mesi giugno-luglio-agosto. Non è possibile scomputare le giornate di giugno

B) 1 ottobre - 31 dicembre 1434

 

Opera

Santa Maria Novella

Chiostro dei preti

Campiglia

Non specificato

Opera +
Non specificato

Tutte

 

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Lav.

Media gg.

Maestri

61

35 1/6

11

7 5/6

4

9 ½

8

4

30

14 ⅓

65

39 ⅔

66

41

Manovali

11

24 ⅓

5

5 5/6

5

3 ½

 

 

6

14 ¾

11

32 ⅓

11

36 ½

Fanciulli

1

38

 

 

 

 

 

 

1

17 ⅔

1

55 ⅔

1

55 ⅔

Totali

73

33

16

7 ¼

9

6 1/6

8

4

37

14 ½

77

38 ¾

78

40 ½


Apri Tabella 10 in una nuova finestra

 

Nel trimestre luglio-settembre troviamo circa l’80% dei lavoranti presenti nel ruolo estivo 1434 (43 su 54). I maestri pagati, però, furono 67: 9 di loro coprono la differenza con quelli elencati nei ruoli, mentre altri 4 furono aggiunti in un secondo momento. Nonostante si trattasse di persone diverse, la previsione fatta con il ruolo fu sostanzialmente giusta, almeno per questo trimestre. Ancora più chiaro è il caso degli ultimi tre mesi del 1434, nei quali solo 2 dei 60 maestri del ruolo invernale 1434-1435 mancano all’appello. Di uno di loro, peraltro, si sa che era impegnato in una condotta di marmo, e che dunque non gli fu possibile lavorare in cantiere.128

Queste cifre mostrano la sostanziale attendibilità dei ruoli come fonti per l’elaborazione di dati quantitativi riguardanti le maestranze, anche se vanno comunque considerati con prudenza.

Entrando nel merito delle giornate lavorate, in ciascun trimestre si lavorò in media per 13-14 giorni al mese. Ma per capire quanto il lavoro impegnasse effettivamente le maestranze, bisogna rapportare le giornate lavorate a quelle ‘lavorabili’. Per calcolarle, bisogna considerare una settimana lavorativa di 6 giorni e sottrarre le festività dal totale. Questo calcolo è però rischioso, perché poteva accadere che almeno alcuni maestri lavorassero anche nei giorni festivi, specialmente a partire dal 1432.129 Senza considerare questa variabile, nel primo trimestre risultano 63 giornate ‘lavorabili’, escludendo dal computo la seconda metà di settembre; nel secondo trimestre 72.130 Fra il 1 luglio e il 15 settembre si lavorò per il 58% delle giornate disponibili, mentre fra ottobre e dicembre si supera di poco il 56%. Queste percentuali confermano le minori possibilità di lavoro durante i mesi invernali, anche se la differenza non è molto ampia. Fatta salva l’anomalia delle due settimane mancanti a settembre, si deve ricordare che in questo periodo il grosso delle attività avveniva al coperto, perché la cupola era quasi terminata e buona parte dei lavoranti era impiegata a terra. Le intemperie, quindi, non dovevano più essere d’ostacolo allo svolgimento dei lavori.

Nelle tabelle si sono indicate anche le diverse sedi di lavoro, che il camarlingo segnalava sempre quando si trattava di cantieri diversi da quello del duomo. Infatti per la maggior parte dei lavoranti la registrazione indica ‘all’Opera’ senza ulteriori specificazioni, che sono fatte solo per altre sedi. In diversi casi, inoltre, la sede non è indicata, ma presumibilmente doveva essere sempre l’Opera perché i periodi registrati non si sovrappongono mai. Per questo motivo nella tabella 10 si sono raggruppati i dati riguardanti il lavoro ‘all’Opera’ e quelli per sedi non specificate.

Una parte della forza lavoro, per pochissimi giorni, fu inviata a lavorare a Santa Maria Novella e al chiostro della canonica, e in un paio di casi a Campiglia. La semplice statistica nasconde però un fenomeno osservabile solo analizzando le diverse persone attestate in questi lavori ‘non all’Opera’. Vediamo così che uno dei maestri più importanti, Nanni di Andrea da Prato, lavorò a Santa Maria Novella per quasi 24 giorni nel trimestre estivo e quasi 27 in quello invernale, mentre tutti gli altri lavoranti – maestri e manovali – risultano lì impiegati solo per pochi giorni (massimo 10, a parte un paio di casi). Potrebbe darsi che a Nanni fosse in qualche modo affidata la direzione dei lavori in quei mesi e che intorno a lui ruotassero lavoranti che cambiavano frequentemente. Lo stesso può dirsi per il chiostro, dove Nanni lavorò quasi 28 giorni nel trimestre estivo. Più in generale, i maestri che risultano lavorare per l’Opera con una certa stabilità sono anche quelli con le maggiori giornate lavorate, anche se questa non può essere considerata una regola.131

Quanto ai manovali, si è già visto che il loro numero risulta esiguo rispetto a quello dei maestri (in media 11,95%). Si può aggiungere che anche le giornate lavorate sono minori: in media, 9 in meno dei maestri nel trimestre estivo e 5 in meno in quello invernale. Il rapporto trova un estremo nei lavoranti pagati per il lavoro ‘all’Opera’ nel trimestre estivo, dove i manovali accumulano in media 16 giornate in meno rispetto ai maestri, e l’altro per il lavoro a Santa Maria Novella, dove i manovali superano i maestri di quasi 1 giornata. Ma quest’ultimo cantiere, diversamente da quello della cupola, era tradizionale e richiedeva perciò lavori meno qualificati.

Anche per le giornate di lavoro si può fare una distinzione fra manovali specializzati e manovali generici. Fra i primi, infatti, due che ci sono già noti raggiunsero quote rilevanti in entrambi i trimestri: Piero di Cofaccia più di 61 giorni d’estate e 46 d’inverno nelle varie sedi; Martino di Nanni quasi 84 giorni d’estate e quasi 55 d’inverno, sempre all’Opera tranne una giornata estiva a Santa Maria Novella. Un gradino sotto si trovano alcuni manovali che – come i maestri – seppero stringere rapporti di lunga durata con l’Opera, come Piero di Sandro Senza Paura, che si trova spesso come addetto all’innaffiatura della cupola d’estate. Piero lavorò per più di 47 giorni nel trimestre estivo e per 34 in quello invernale.

8. La durata dei rapporti di lavoro

Margaret Haines ha notato che all’Opera «a central group of the laborers could count on election season after season, for a lifetime, and in numerous cases, even from generation to generation».132 Si tratta di quello che la studiosa ha definito «core group», un insieme di individui che godeva di una relativa stabilità di rapporti di lavoro, se non di una loro certezza.133 La definizione proviene da uno studio incentrato soprattutto sugli anni settanta, ma è chiaramente applicabile anche ai decenni precedenti. L’edizione digitale de Gli anni della Cupola permette ora di approfondire e ampliare questo discorso, oltre che raffrontare questa esperienza ad altre. L’esistenza di un gruppo di lavoranti ‘stabili’, cioè chiamati più volte consecutivamente, era infatti un tratto comune ad altri cantieri, sebbene non si possa mai parlare di lavoro regolare.134

Per quanto riguarda Gli anni della Cupola, lo spoglio sistematico della documentazione riguardante i 265 lavoranti elencati nei ruoli ha permesso di individuare quattro tipologie ‘temporali’ di rapporto di lavoro: stabile, saltuario, temporaneo e occasionale. Accanto ad esse si pone una categoria particolare, composta dai lavoranti che potremmo chiamare a fine carriera: si tratta di individui che scompaiono presto dalle nostre fonti, ma intrattengono rapporti di lavoro con una certa costanza prima del 1420.

Per la classificazione dei lavoranti si sono utilizzate le presenze nei ruoli ma anche tutti i documenti disponibili per ciascun individuo. In diversi casi, come sappiamo, un lavorante non presente nei ruoli risulta ingaggiato più tardi in un dato semestre, entrando così a far parte della forza lavoro solo in un secondo momento. Sul fronte opposto vanno considerate le cassazioni individuali o a piccoli gruppi, temporanee o perenni. Attraverso l’incrocio fra queste serie di dati, si è potuto attribuire a ciascun lavorante un tipo di durata di rapporto di lavoro. Prima di scoprire il risultato, è opportuno esplicitare i criteri delle scelte. Si tenga presente che sono criteri generali cui si è affiancata la valutazione caso per caso, essenziale soprattutto per gli individui posti ai confini fra le categorie.

1) Stabili. Sono stabili i lavoranti ‘arruolati’ per almeno 20 semestri dei 30 documentati dai ruoli (1420-1436). I lavoranti attestati (non solo nei ruoli) fra i 15 e i 19 semestri sono stati considerati stabili solo se ingaggiati consecutivamente o con assenze non superiori ai 4 semestri consecutivi, all’interno degli estremi cronologici in cui sono attestati. Altrimenti sono stati considerati saltuari. Infine, i lavoranti presenti in meno di 15 ruoli sono stati inclusi negli stabili solo se presenti in 10 semestri consecutivi, o con massimo 2 semestri di assenza, a partire dal 1417 e fino alla prima interruzione. In questo modo si sono presi in considerazione anche quei lavoranti stabili sin da prima dell’inizio dei lavori della cupola, che continuarono a esserlo anche in seguito, anche se solo fino a un certo momento. Sul lato cronologico opposto, sono stati considerati stabili quei maestri che appaiono più tardi nelle fonti (non oltre il 1428), ma che dimostrano continuità (con massimo 2 semestri di assenza) fino al 1436 e anche oltre, per almeno 10 semestri.135

2) Saltuari. Il range dei ruoli considerabili per i saltuari va da 1 a 15. Per l’intervallo 10-15, quello di una certa consistenza che costituisce una zona grigia in cui alcuni possono essere stabili, le assenze continuative in almeno 4 semestri (e non solo nei ruoli), nel periodo documentato per ciascuno, ha determinato l’inclusione nel gruppo dei saltuari. Al di sotto della soglia dei 10 semestri (non solo ruoli), la condizione per l’inclusione è che almeno 2 volte in 17 anni (1420-1436) il lavorante sia stato ingaggiato continuativamente per almeno 4 semestri. In questo modo si sono inclusi fra i saltuari anche coloro che collaborarono con assiduità, ma brevemente, tornando a lavorare anche dopo diversi anni. Anche in questo caso la verifica si è estesa agli anni 1417-1419 per valutare la posizione dei singoli rispetto ai criteri enunciati.

3) Temporanei. Questi lavoranti si collocano nella fascia di presenze compresa fra i 4 e i 10 semestri. La condizione è che l’ingaggio fosse consecutivo, con al massimo 2 semestri di assenza nel solo intervallo 5-10 semestri, e che dopo questa esperienza il lavorante non sia più tornato all’Opera.

4) Occasionali. In questa categoria ricadono i lavoranti attestati una sola volta negli anni 1420-1436, a meno che non siano a fine carriera. Sono occasionali anche i lavoranti che non raggiungono i minimi per essere considerati temporanei o saltuari, dunque anche coloro che tornarono a lavorare all’Opera ma in modo sporadico (1-3 semestri dopo anni di assenza).

5) A fine carriera. Lavoranti attestati per massimo 4-6 semestri consecutivi, purché siano compresi fra il 1420 e il 1423 e che, allo stesso tempo, siano presenti in almeno 3 semestri negli anni 1417-1419.

Adottando questi criteri, con la flessibilità necessaria e le valutazioni caso per caso su cui si insiste, si può ricostruire la composizione della manodopera per tipologia di durata dei rapporti di lavoro. Si tenga presente che una decina di lavoranti compare nelle fonti molto tardi (1434-1436). Costoro sono stati inclusi in una delle categorie dei non stabili (punti 2-4) dopo averne verificato i destini negli anni seguenti. Potrebbe darsi che alcuni di loro abbiano sviluppato una carriera più avanti, ma per quanto concerne gli anni di costruzione della cupola (lanterna esclusa), il loro rapporto con l’Opera rimane comunque di tipo non stabile.

 

Tabella 11. La composizione della forza lavoro per tipologie di durata dei rapporti

Dati presentati in ordine decrescente per numero di lavoranti

Tipologia di durata

Numero di lavoranti

% sul totale
dei lavoranti (265)

Saltuario

83

31,32%

Occasionale

74

27,92%

Stabile

55

20,75%

Temporaneo

39

14,72%

A fine carriera

14

5,28%

Totali

265

100%


Apri Tabella 11 in una nuova finestra

 

La percentuale di lavoranti stabili appare più consistente che in altri cantieri. A Palazzo Strozzi, ad esempio, non più di 36 lavoranti furono ricorrenti, ma solo in 6 appaiono stabili nei primi 10 anni di lavoro.136 Anche a Bologna, negli anni 1390-1393, solo in 6 furono sempre attivi (< 5% del totale dei maestri), mentre in 45 lavorarono per 2 anni (36% circa).137 Più vicino al caso fiorentino – ma che necessita di approfondimenti – è il cantiere della certosa di Pavia, in cui circa il 14% dei lavoranti fu ‘regolare’.138 Ancora più marcato è invece il peso degli stabili nella costruzione della cattedrale di Siena, almeno nei decenni centrali del Duecento (31-34%).139

I dati presentati nella tabella 11 si riferiscono al complesso dei lavoranti esaminato, senza considerare le variazioni nel tempo. Se ci limitassimo a questo, il lavoro saltuario e occasionale risulterebbe quello maggiormente praticato per la costruzione della cupola. Ma questo è ovvio, perché l’instabilità ha come portato un ricambio più frequente. Per verificare il peso reale delle categorie nella realizzazione dell’impresa, bisogna fare un’altra operazione. Questa volta ci si può basare sulle sole presenze nei ruoli, perché costituiscono un gruppo di dati coerenti per le elaborazioni statistiche. Dopo aver sommato il numero di presenze nei ruoli di tutti lavoranti, si calcola il peso percentuale di ciascuna categoria di rapporto di lavoro (somma delle presenze dei lavoranti che appartengono a ciascuna) sul totale delle presenze registrate (1965).140 In questo modo si può capire quanto abbia pesato, nel tempo, ciascuna tipologia di durata di rapporti di lavoro nella composizione della forza lavoro.

Grafico 3. Peso relativo delle tipologie di durata di rapporti di lavoro nella composizione della forza lavoro


Apri Grafico 3 in una nuova finestra

 

Dal grafico 3 si deduce che l’alto numero di lavoranti non stabili è inversamente proporzionale al loro peso nella composizione della forza lavoro nel tempo. Per quantificare, poco più di 90 lavoranti presenti in un solo (ipotetico) ruolo avevano lo stesso peso di 3 maestri presenti in tutti i 30 ruoli. Se si aggregano le percentuali degli stabili e dei saltuari, risulta che in media oltre l’85% dei lavoranti di un semestre era costituito da individui già conosciuti dall’Opera. Del resto quest’ultima, come altre fabbricerie o committenti, se aveva bisogno di forza lavoro, chiamava persone che avevano già avuto esperienza sul campo e che si erano già relazionate con almeno una parte degli altri lavoranti. Intorno a questo zoccolo duro giravano i temporanei e gli occasionali, che insieme pesano per poco più del 13%.

Il gruppo degli stabili costituisce il cosiddetto core group, che si compone di 55 individui. Nella tabella G in Appendice si possono leggere i nomi e altri dati di questi lavoranti. Il primo aspetto da mettere in evidenza sono le qualifiche, ricordando però che molti maestri erano in grado di svolgere lavori di muratura pur essendosi formati come scalpellatori. Pertanto, anche nel core group si riflette la loro prevalenza numerica. È da notare, inoltre, che mancano del tutto i muratori e i legnaioli ‘puri’ (grafico 4).

Grafico 4. Composizione per qualifica del core group


Apri Grafico 4 in una nuova finestra

 

Il secondo aspetto da rilevare sono i salari. Alla lunga durata del rapporto di lavoro non corrispondeva automaticamente l’attribuzione di salari molto alti. La media dei massimi salariali141 del core group si attesta sui s. 17,142 quindi sopra la media (s. 15 d. 4), ma ben al di sotto del massimo standard (s. 20). Le vette di s. 19-20 furono toccate, talora per diversi anni consecutivi, da 15 maestri (27,27% del core group), mentre in 20 si collocano nella fascia immediatamente inferiore dei s. 17-18 d. 6 (36,36%) e altrettanti nelle due fasce più basse, fra s. 15 e s. 16 d. 6 (29,1%) e fra s. 13 e s. 14 d. 6 (7,26%). Queste cifre mostrano che un nesso fra un salario medio-alto e la stabilità di lavoro c’era, ma esso si spiega con le qualità dei lavoranti che potevano favorire la loro permanenza all’Opera. Questo fenomeno non è però una regola, se consideriamo la consistente presenza di maestri con salari di media entità e l’esistenza di maestri ben pagati non facenti parte del core group.143

Un ultimo aspetto da considerare è il rapporto fra questi maestri e le riduzioni della forza lavoro. Da un lato si nota che alcuni di loro furono esclusi dagli autorizzati a lavorare, ma al contempo furono i primi a essere ripresi in breve tempo. Essi godevano di una ‘corsia preferenziale’ grazie al loro rapporto di fiducia con l’Opera, lo stesso che permette di collocarli nel core group. Dall’altro lato si riscontra un insieme di maestri che sembrano intoccabili, quelli che furono chiamati a lavorare continuativamente dal 1417 al 1436. Si tratta di una sorta di élite composta da 14 individui, capomaestro compreso.144 A parte quest’ultimo, questi maestri non sembrano avere tratti comuni oltre alla costanza di rapporti. Qualifiche e salari rispondono infatti alle stesse logiche dell’intero core group, ed è evidente che la loro condizione dipendeva dalla capacità individuale di stabilire e coltivare rapporti con l’Opera, sulla base delle proprie competenze.

9. Fare carriera all’Opera di Santa Maria del Fiore

Gabriella Battista, con il suo studio dedicato a Jacopo di Sandro, ha mostrato tutte le potenzialità degli Anni della Cupola per la ricostruzione della vita lavorativa dei maestri145 In questa sede non è possibile presentare le esperienze di tutti i maestri dei ruoli ampiamente attestati nelle fonti.146 Considerandoli nel loro complesso, si possono invece rilevare alcuni fenomeni generali.

Le tipologie di carriera individuabili dall’analisi prosopografica sono tre, che potremmo definire ‘ascendente’, ‘discendente’ e ‘piana’. Alla prima categoria appartengono gli individui in crescita costante, che partirono come fanciulli o poco più e che raggiunsero la vetta professionale e salariale durante i nostri anni; della seconda fanno parte i maestri che avevano iniziato a lavorare ben prima e di cui vediamo scendere i salari, quasi certamente a causa dell’età avanzata; la terza categoria è composta da lavoranti che mantennero medie salariali relativamente costanti negli anni.

Nel gruppo degli ‘ascendenti’ troviamo due tipi di lavoranti, quelli che proprio in questi anni cominciarono a lavorare da giovanissimi e quelli che sembrano avere già una certa esperienza. Di questi ultimi basta citare alcuni esempi osservabili nella tabella B dell’Appendice, come Andrea di Capretta e Teo di Chele, perché la loro carriera fu la stessa dei giovani, ma con una cronologia leggermente anticipata. I casi del primo tipo riguardano essenzialmente i fanciulli che crebbero rapidamente affermandosi come maestri in pochi anni.147 L’esempio di Maso di Jacopo di Succhiello, studiato da Margaret Haines, è rappresentativo delle grandi possibilità offerte dal lavoro per l’Opera, che portò questo fanciullo degli anni venti a diventare capomaestro negli anni cinquanta.148 Altre carriere non ebbero un esito così importante, ma permisero ad alcuni giovani maestri di raggiungere posizioni di alto livello nelle maestranze dell’Opera e più in generale sul mercato del lavoro edile fiorentino. Le progressioni salariali della tabella B offrono alcuni esempi,149 mentre per altri la condizione di fanciulli, almeno alla fine degli anni dieci, è provata da altri documenti, precedenti ai ruoli.150 Per fare un buon esempio di carriera si può considerare quella di Cecchino di Giaggio, rappresentata dai documenti raccolti nella tabella H dell’Appendice.

Figlio di Giaggio di Cecchino, uno dei maestri scalpellatori più presenti nelle nostre fonti,151 Cecchino compare per la prima volta il 9 giugno 1419, quando gli si attribuisce un salario di appena s. 3 d. 6. Sebbene egli non venga esplicitamente qualificato come fanciullo, il salario così basso e i futuri aumenti ne indicano la giovanissima età. C’è da notare che nell’atto si legge «et scribatur inter magistros», il che potrebbe segnalare che già allora si avesse la consapevolezza della sua futura carriera, ritenuta quantomeno probabile e favorita dallo stesso dichiarato inserimento nella categoria dei maestri. D’altro canto potrebbe trattarsi semplicemente di una formula scrittoria da non sopravvalutare.

Ad ogni modo, da quel momento la vita lavorativa di Cecchino fu in continua ascesa, fino a diventare maestro di scalpello a tutti gli effetti, con un salario massimo di s. 16 d. 4. Le informazioni disponibili non permettono di capire quando raggiunse l’età adulta, ma si può ipotizzare che il passaggio avvenne fra il 1422 e il 1424, quando notiamo un aumento progressivo dai s. 9 d. 6 ai s. 12 d. 6. L’avanzamento di carriera di Cecchino fu infatti piuttosto lineare, se si considera la relativa regolarità degli aumenti salariali, che lo portarono a una media stabile compresa fra i s. 14 e i s. 15 d. 6, a partire dall’estate 1427, con qualche oscillazione. Forse anche grazie alla presenza di suo padre, in otto anni (1419-1427) egli riuscì a farsi una posizione significativa all’interno delle maestranze dell’Opera, e sfuggì alle rimozioni del giugno 1420 e del maggio 1432, sebbene incappasse in quella dell’autunno seguente.

Un altro aspetto da notare nella carriera di Cecchino è il lavoro svolto fuori dal cantiere del duomo. Egli lavorò a Trassinaia e al carcere delle Stinche fra il 1421 e il 1422, sedi dove fu inviato anche suo padre, insieme ad altri maestri. Si può quindi pensare che il giovane Cecchino seguisse Giaggio come ‘apprendista’, lavorando al suo fianco, fino a che non acquisì autonomia professionale. Quasi dieci anni dopo, ormai adulto, lo troviamo impegnato a Castellina, senza Giaggio.

Infine bisogna rilevare che la formazione professionale all’Opera fu messa a frutto da Cecchino anche al di fuori della fabbriceria, durante e dopo gli anni di costruzione della cupola. Cecchino lavorò ad Arezzo dal 1433 con Bernardo Rossellino e altri, tra cui i colleghi dell’Opera Giuliano di Nanni e Giovanni di Piero Cioli. Negli anni quaranta lo troviamo nei cantieri di San Lorenzo e di palazzo Medici, sempre accanto ad alcuni maestri dell’Opera.152

Giovani come Cecchino non lavorarono solo accanto ai loro padri, ma anche agli altri maestri d’esperienza che troviamo nella categoria delle carriere ‘discendenti’. Nella tabella B si nota che alcuni maestri, dopo un periodo lungo di retribuzione relativamente stabile, cominciarono a essere pagati progressivamente di meno. Si tratta di personaggi come Bertino di Piero di Vernagallo, lo stesso Giaggio di Cecchino, Piero di Guardino da Fiesole e Puccio di Bartolo da Fiesole. Si potrebbero fare anche altri esempi, ma qui se ne illustrerà uno che è insieme simbolico, significativo e rappresentativo, quello di Perfetto di Giovanni da Fiesole, la cui carriera è riassunta nella tabella I dell’Appendice.

Perfetto, scalpellatore e muratore, compare in 29 ruoli su 30, ma fu a libro paga in tutti i semestri degli Anni della Cupola. La sua esperienza appare a un tempo regolare e peculiare: la sua carriera è ‘pulita’, è fatta esclusivamente di condotte semestrali a salario, senza altre mansioni particolari e con solo qualche permesso di andare a lavorare fuori; per altro verso, la sua era una posizione non comune, perché egli appare legato al capomaestro.

Quando si cominciò a progettare la cupola, Perfetto era già un maestro apprezzato e al culmine della sua carriera, come dimostra il salario da s. 20 del 1417. Ma prima che si avviassero i lavori della cupola, egli ottenne un paio di volte il permesso di andare a lavorare fuori, cioè non per l’Opera. Nel 1419 fu chiamato da Adovardo Acciaioli, un ‘privato’ appartenente a una delle famiglie più importanti di Firenze. Per il permesso precedente, riguardante l’inverno 1418-1419, non conosciamo la destinazione, ma solo la penale che avrebbe pagato se non fosse rientrato all’Opera nei termini stabiliti: ben l. 100, cioè 100 volte il suo salario giornaliero. Questa penale segnala l’importanza di questo maestro per l’Opera, innanzitutto per la sua notevole differenza rispetto ad altre penali previste in casi simili.153 Ma bisogna considerare anche che in diversi casi la penale per il mancato rientro era la cattura.154 Se assumiamo il punto di vista dell’Opera, prevedere una multa salata piuttosto che l’incarcerazione assicurava all’istituzione il ritorno al lavoro del maestro. Infatti l’Opera riammise talora a lavorare, senza conseguenze, alcuni maestri che si erano allontanati senza autorizzazione.155

Per il resto, la carriera di Perfetto appare regolare fino al 1430. Nel ruolo invernale del 1430-1431 si riscontra un brusco calo del suo salario, dai consueti s. 20 a s. 17. Da quel momento in poi il salario oscillerà fra i s. 15 e i s. 17, con un minimo di s. 14 d. 4 nell’inverno 1435-1436. È chiaro che un maestro che troviamo già ai massimi all’inizio del nostro periodo doveva avere un’età avanzata nel 1431, cui corrispose l’abbassamento di salario per le minori prestazioni che avrebbe potuto offrire. Tuttavia esso appare troppo netto per essere spiegato solo con questo motivo, né sembra di poterlo spiegare con una riduzione stagionale per l’inverno, che non aveva mai riguardato Perfetto e che sarebbe stata comunque troppo consistente.

La ragione potrebbe trovarsi nel suo rapporto col capomaestro Battista di Antonio, che scompare dai ruoli proprio in concomitanza con la riduzione salariale di Perfetto. Battista ottenne il passaggio alla sola provvigione, con un aumento a f. 8 al mese, ufficialmente a partire dal 1 gennaio 1428, secondo gli «ordini nuovi» (O0204012.138vi); tuttavia per altri due anni il suo regime salariale rimase attivo e il mutamento avvenne solo a partire dall’inverno 1430-1431. Il collegamento con Perfetto sembra lampante, ma mancano documenti che lo esplicitino. Un indizio si trova forse negli stessi elenchi dei ruoli, in cui Perfetto compare sistematicamente subito dopo Battista. I criteri di ordinamento dei nomi nelle liste dipendevano da diversi fattori, specialmente dall’ordine con cui uno o più maestri venivano condotti o ricondotti e dalle eventuali modifiche intercorse fra un ruolo e l’altro. È tuttavia significativo che Perfetto compaia sempre in coppia con Battista, quasi a indicarne un ruolo non dichiarato di assistente del capomaestro.

La stessa logica riguarda anche altri maestri, due dei quali si intrecciano con la vicenda di Perfetto. Nanni di Ellero e Nanni di Berto Ferro compaiono sempre in coppia dal ruolo invernale 1427-1428,156 per poi prendere il posto di Battista e Perfetto in cima alle liste fino al 1436. Questo fenomeno delle liste sembra indicare una funzione che andava oltre la mera esecuzione dei lavori, che forse era di carattere direttivo delle maestranze o di loro parti. Una conferma indiretta potrebbe venire proprio dal ruolo dell’inverno 1430-1431, nel quale Battista non compare e Perfetto è in cima alla lista con s. 17, seguito dai due Nanni con s. 20 l’uno. Da un punto di vista pratico, fu certamente l’esclusione di Battista dalla lista a generare questo ordinamento, ma allo stesso tempo sembra plausibile supporre che Perfetto si sia slegato da Battista, il quale continuava a fare l’organizzatore del cantiere con uno stipendio indipendente dalle giornate lavorate. Perfetto, dal canto suo, avrebbe continuato a fare il maestro, con le sue competenze e la sua esperienza, in una posizione più defilata e lasciando spazio alla nuova coppia dei Nanni.

Fra i due, Nanni di Ellero rappresenta un buon esempio della terza tipologia di carriera riscontrata, quella ‘piana’. Senza dilungarsi, è sufficiente osservare la serie dei salari di Nanni di Ellero nella tabella B. Egli, come Perfetto, appare ai vertici delle maestranze sin dal 1417, quando fu pagato già s. 18 (O0201070.015vd). Da quel momento e fino al 1427 il suo salario oscillò di poco, collocandosi sempre fra i s. 18 e i s. 20, finché nello stesso momento di Nanni di Berto non si avviò la serie fissa dei s. 20. Il passaggio ai s. 20 trova una spiegazione precisa nel lavoro svolto in alto: Nanni di Ellero, come Nanni di Berto, è fra i maestri che si videro aumentare il salario il 9 settembre 1427 per i pericoli connessi al lavoro quotidiano sulla cupola (O0202001.067va). I casi di mantenimento di una media salariale stabile sono diversi altri, come Bertino di Giusto da Settignano o Romolo di Marchionne da Settignano, per i quali si rinvia alla tabella B, che anche per altri casi e per le altre tipologie fornisce un’immagine immediata di questi fenomeni.

10. Oltre i salari: i maestri-conduttori

Il discorso condotto sin qui ha riguardato solo il lavoro salariato. Ma gli stessi maestri che abbiamo osservato da diversi punti di vista potevano trovare all’Opera altre possibilità di guadagno, al di fuori delle giornate lavorate. Come ha dimostrato Gabriella Battista parlando di Jacopo di Sandro,157 essi potevano impegnarsi in particolare nel rifornimento di materiali per il cantiere, secondo una ‘tradizione’ avviatasi già nel secolo precedente.158

La gestione dell’afflusso di marmo, pietre e legname al cantiere era un affare complesso, che chiamava in causa molti soggetti nel percorso del materiale dall’origine al centro di Firenze. L’Opera appaltava periodicamente a uno o più individui il rifornimento dei materiali necessari, stabilendo con loro una cifra comprensiva del reperimento e della preparazione, del trasporto e dei suoi dazi. Si trattava di operazioni complesse e rese rischiose da percorsi lunghi e accidentati, per mare, per fiume o per terra, quando non da eventi particolari come le guerre. Non è questa la sede per esporre dettagliatamente tutte le fasi di queste condotte – da non confondersi con gli omonimi ingaggi per i lavoranti. Lo studio di Ilaria Becattini fa luce su molti dei loro aspetti, almeno per quanto concerne il legname.159 Qui le si vedranno solo dal punto di vista delle maestranze e dei loro rapporti con l’Opera. È bene chiarire, sul piano generale, che questo impegno nei trasporti non rientrava in un contratto che comprendesse anche la lavorazione e la posa in opera, ma solo il reperimento e il trasporto. Si trattava insomma di un’attività slegata da quella salariata, tranne che per le capacità di valutazione del materiale.

Per cominciare, si può rilevare che fra i 265 lavoranti dei ruoli vi furono 21 maestri (7,9%) che si impegnarono almeno una volta nelle condotte di materiali.160 I loro nomi e altre informazioni sono contenute nella tabella L dell’Appendice. Fra di loro si nota la presenza di 11 appartenenti al core group, ma anche di maestri che pur non facendone parte furono spesso chiamati a lavorare. La lunga durata di rapporti con l’Opera dovette certamente favorire l’affidamento delle condotte ai maestri interessati, ma essa non era una condizione necessaria né procurava automaticamente condotte frequenti.161

Un rapido sguardo alle qualifiche di questi maestri-conduttori non desta sorprese, trattandosi quasi esclusivamente di scalpellatori, alcuni dei quali pluri-qualificati. D’altro canto, quasi tutte le condotte riguardavano il marmo o la pietra, per la scelta delle quali era opportuno che il conduttore fosse in grado di valutare la materia prima. Tra l’altro, sono attestati diversi viaggi dei maestri-conduttori nei luoghi di estrazione del materiale proprio per esaminarlo e sceglierlo, a spese dell’Opera.162

Sempre a proposito dei materiali condotti, si può osservare che alcuni maestri (10) si occuparono solo di un materiale, mentre altri (11) ne condussero più di un tipo. Per 8 dei primi non si può parlare di specializzazione, perché le condotte sono poco frequenti. Checco di Andrea di Fraschetta, invece, potrebbe essere considerato uno specialista del marmo bianco, a patto di distinguerlo da quello nero e da quello rosso, ma tenendo presente che il primo era quello più spesso trasportato. In effetti l’unico indiscutibile maestro-conduttore specializzato fu Jacopo di Sandro. Egli fu l’unico a occuparsi di legname in questi anni, peraltro quasi esclusivamente di quello, prima di darsi al marmo dopo la chiusura della cupola. Nonostante egli non avesse competenze professionali sul legno, essendo uno scalpellatore, il suo rapporto con l’Opera lo portò a occuparsi di queste condotte, dopo che aveva già affrontato la questione del rifornimento di legname con le sue missioni alla selva in Casentino. Ci troviamo però di fronte a un caso molto particolare per frequenza e varietà delle mansioni svolte.

Per rilevare alcune caratteristiche generali del sistema della condotta di materiali e dell’impegno dei maestri, si può prendere in considerazione l’esempio ben documentato di Bertino di Piero di Vernagallo. Scalpellatore del core group, con salari non particolarmente alti e dalla carriera ‘discendente’ negli anni trenta, Bertino di Piero fu uno dei più attivi maestri-conduttori di marmo di Carrara. La sua attività nel trasporto è testimoniata da decine di documenti dell’Opera e anche da altre fonti non fiorentine.163 Nella tabella M in Appendice si trovano riassunti tutti i documenti e le informazioni sulle quali si baserà il discorso che segue.

In primo luogo bisogna chiarire che il capitale necessario per le operazioni veniva quasi sempre anticipato dall’Opera, che ovviava così all’insufficiente disponibilità economica dei maestri-conduttori.164 L’8 giugno 1425, ad esempio, Bertino riceveva 50 dei f. 200 della sua condotta prima di eseguirla. La logica era semplice: l’Opera si assicurava l’afflusso di materiale mettendo a disposizione le sue risorse e mantenendo il sistema in un certo senso al suo interno, attraverso il coinvolgimento delle maestranze; queste ultime potevano sperare in un profitto ben più alto di quello derivante dal lavoro salariato.165

Il rischio ‘imprenditoriale’ non riguardava tanto l’investimento iniziale, quanto l’effettiva conclusione della condotta senza problemi e con soddisfazione dell’Opera. Nel viaggio del materiale verso Firenze, poteva accadere che il carico si perdesse in mare o che una guerra impedisse di rispettare l’accordo. In questi casi l’Opera non si rivaleva sui conduttori, viste le cause di forza maggiore. Il 26 aprile 1421 Bertino e il suo socio ottennero una somma per la perdita del carico, mentre il 30 dicembre 1435 gli Operai vietarono di gravarli per la mancata consegna del marmo dovuta alla guerra di Lucca. L’Opera era invece inflessibile di fronte a condotte mal eseguite. Il 29 aprile 1422 si restituirono a Bertino due lapidi in eccesso, rispetto al numero concordato. Il 12 marzo 1426 gli si ordinò di sgombrare il marmo che aveva condotto, che era stato ritenuto inaccettabile. L’11 febbraio 1434 gli Operai ordinarono addirittura di catturarlo per non aver portato a termine una condotta, salvo poi liberarlo a certe condizioni il 13. Un caso particolare è poi quello della vertenza fra Bertino e Bernardo Ciuffagni del 1430, per la perdita di alcuni modani (21 aprile e 16 giugno).

Un altro elemento interessante è l’associazione di più maestri per l’esecuzione delle condotte. Come si vede dalla tabella M, Bertino ebbe quasi sempre come socio il già citato Checco di Andrea di Fraschetta, il quale a sua volta si impegnò con un altro maestro, Meo di Cecchino, anche lui in compagnia di un collega, Nanni di Benozzo.166 Ci troviamo di fronte a collaborazioni durevoli nel tempo, che segnalano la capacità dei maestri di unire le forze allo scopo di tentare un profitto. Gli importi delle condotte indicati nella tabella M rendono l’idea del peso economico di queste operazioni, anche se non si conosce il guadagno effettivo al netto delle spese.

L’ultimo aspetto da considerare è il rapporto fra l’impegno nelle condotte e il lavoro salariato. La carriera complessiva di Bertino mostra come fosse possibile portare avanti entrambe le attività, sebbene sia ovvio che le assenze del conduttore per i viaggi a Carrara, a Pisa o altrove rendevano impossibile lavorare in cantiere. L’Opera poteva ‘arruolare’ comunque un maestro, anche se doveva occuparsi di una condotta: fra il 1429 e il 1430, ad esempio, Bertino è presente nei ruoli nello stesso periodo in cui si stava occupando del marmo per il Ciuffagni. L’esempio più chiaro di questa possibilità è però quello di Jacopo di Sandro, presente in tutti i 30 ruoli e contemporaneamente impegnato nelle sue condotte. D’altro canto Bertino, in alcuni semestri, non risulta ingaggiato come maestro ma solo impegnato nelle condotte. Non c’era dunque un regola su questi aspetti, anche perché l’inclusione fra gli autorizzati a lavorare, come sappiamo, non significava lavorare sicuramente o farlo tutti i giorni.

Ma sul rapporto fra queste due attività ci illumina un documento dell’11 febbraio 1432, in cui gli Operai conducevano Piero di Bartolomeo di Baccello «in magistrum Opere», con una clausola: poteva lavorare come maestro «quando non esset occupatus pro conducta quam habet ab Opera de marmore rubeo» (O0202001.154g). In questo caso, la condotta era già attiva e gli Operai avvertirono la necessità di dichiarare la priorità del trasporto del materiale sul lavoro salariato. Una priorità che va considerata anche in senso generale, per il semplice fatto che senza materiali non poteva esserci lavoro, come successe con la riduzione di scalpellatori attuata nel 1420 per mancanza di marmo.167

In conclusione, la vita lavorativa di Bertino di Piero e degli altri che si dedicarono spesso alle condotte di materiali fu segnata dai profitti ma anche dai rischi dell’impresa. A questi ultimi i maestri potevano contrapporre il lavoro salariato che, pur essendo meno redditizio, garantiva loro un introito, specialmente in un contesto privilegiato in cui il committente coltivava rapporti continuativi con diversi lavoranti e procurava loro un lavoro tendenzialmente stabile.

11. Note conclusive

Al termine di questa esplorazione, possiamo tirare le somme sull’universo lavorativo dell’Opera negli anni di costruzione della cupola. Rispetto ad altri cantieri e alla storia dell’edilizia in generale sono emerse alcune interessanti particolarità, mentre altri aspetti sono risultati comuni.

Il primo elemento da sottolineare è la flessibilità del sistema di ingaggio e rimozione dei lavoranti, che coinvolgeva livelli diversi delle gerarchie di cantiere attraverso le deleghe al capomaestro e agli esperti sul campo, pur mantenendo un controllo efficace dell’accesso al lavoro. Questa flessibilità rispondeva alle necessità quotidiane del cantiere, ma per noi ha un riflesso negativo nella mancanza di informazioni sulle scelte compiute dal capomaestro e dagli altri delegati.

La seconda questione interessante è quella delle qualifiche, che presenta più di un aspetto peculiare. Innanzitutto, le difficoltà terminologiche tipiche dell’argomento si declinano in modo particolare all’Opera, nelle cui scritture si riscontra un sistema di riferimento semantico regolare che però non ci consente di fare piena luce sulla composizione per mestiere della forza lavoro. A questi limiti si connettono altri due aspetti da evidenziare, cioè la netta prevalenza numerica degli scalpellatori rispetto ai muratori e l’esistenza di un ampio numero di lavoranti in grado di svolgere entrambi i mestieri o comunque più di un’attività. Si tratta di caratteristiche riscontrabili anche in altri cantieri, ma non con le stesse proporzioni. Lo stesso discorso vale anche per la stabilità di ingaggio di alcuni maestri, che è un fenomeno non inedito ma molto marcato rispetto ad altri cantieri.

Il dato più importante in assoluto, per la sua eccezionalità, è invece quello riguardante i manovali. La loro scarsità e la ridotta quantità di giornate lavorate costituiscono senza dubbio l’aspetto che più discosta l’esperienza dell’Opera fiorentina dalle altre, almeno in questi anni. Inoltre va ricordato che i manovali specializzati percepivano salari anche superiori a quelli di alcuni maestri e che la specializzazione li portò a essere considerati magistri, pur conservando il loro status di manovali. Il tema dovrà essere approfondito con una ricerca dedicata che prenda in considerazione, sempre sistematicamente, le fonti precedenti e successive agli anni qui considerati.

Un’altra questione che abbiamo aperto ma che andrà ripresa è quella dei maestri-conduttori, che costituirono una soluzione efficace per mantenere in un certo senso all’interno dell’Opera la gestione dell’afflusso di materiali, facendo leva sull’esperienza dei maestri salariati e sulla connessione fra le materie prime e il loro utilizzo in cantiere. Per il resto, fatte le debite proporzioni e considerati i periodi differenti, le altre questioni pongono il nostro cantiere sostanzialmente in linea con altre esperienze, coeve o meno.

Questo contributo è un primo passo verso un’interpretazione globale del lavoro all’Opera nel periodo di costruzione della cupola. In futuro si potranno trattare diversi temi su cui le fonti de Gli anni della Cupola sono generose di informazioni. Innanzitutto, si potranno ricostruire il tipo di attività, il periodo di impiego, le modalità di retribuzione e altri aspetti, riguardanti il lavoro dei maestri nelle sedi di lavoro diverse dal cantiere del duomo. Inoltre si potrà considerare il rapporto fra maestranze e Opera da un punto di vista non solo economico e contrattuale ma anche sociale, analizzando le politiche di sostegno attuate dall’istituzione nei confronti dei lavoranti infortunati o parzialmente disabili.168

Inoltre, estendendo il corpus documentario, si potranno raccogliere altre informazioni sui lavoranti, per provare a ricostruirne i livelli di vita e a inserirli nel contesto della Firenze dell’epoca e del suo mercato del lavoro edile. Altrettanto interessante sarà analizzare i rapporti di parentela fra lavoranti e comprendere quale peso avessero sull’accesso al lavoro, come si è visto in parte trattando dei fanciulli. Infine, una ricognizione in altri cantieri potrà dare l’idea degli sbocchi professionali che il lavoro all’Opera offrì ai maestri.

È auspicabile che in futuro questi e altri temi possano essere affrontati grazie a Gli anni della Cupola e ai primi studi che si sono basati su questo tesoro documentario. Nel frattempo si spera di aver fatto luce sugli uomini che costruirono la cupola di Brunelleschi, un personaggio eccezionale che una volta tanto è passato in secondo piano per lasciare spazio a chi materializzò le sue idee.


Appendice